Credit Suisse è in pieno caos. Il gigante svizzero della finanza, che maneggia oltre 900 miliardi di dollari di asset, ha annunciato nella giornata del 6 aprile di aver sollevato dall’incarico due importanti figure apicali, il ceo dell’investment banking Brian Chin e la chief risk officer Lara Warner, dopo che l’istituto elvetico è stato travolto dalla crisi di Archegos.

Archegos, fondo hedge che negli scorsi giorni ha operato disinvestimenti per oltre 30 miliardi di dollari, è stato definito dagli analisti come l’ennesima “balena spiaggiata” del mercato finanziario e il suo direttore, Bill Hwang, un nativo coreano ex allievo del celebre trader Julian Robertson, ha operato una proficua raccolta capitali tra diverse banche (contattata l’una all’insaputa dell’altra) siglando generalmente delle operazioni asimmetriche come i total return swap (Trs) in cui, se un dato titolo sale, le banche pagano l’investitore e, in caso contrario, sono da esse rimborsate. Raccolta fondi poi diretta verso azioni ben mirate nel settore media e comunicazione. “La meccanica delle operazioni è semplice: fare sparire il flottante di mercato delle azioni coinvolte, in modo da creare uno squeeze, cioè uno strappo al rialzo delle quotazioni”, ha scritto Mario Seminerio sul blog Phastidio. Delle cinque banche coinvolte Credit Suisse è rimasta, assieme a Nomura, la più penalizzata dal veloce disinvestimento di Archegos dopo la caduta di un vero e proprio “schema Ponzi” da cui ha subito una perdita da 4,7 miliardi di dollari.

Per la banca di Zurigo il caos Archegos non è stato l’unico evento negativo di un 2021 da dimenticare. La crisi è iniziata a poche settimane di distanza dal crac di Greensill, fondo d’investimento leader mondiale della supply chain finance fallito di recente di cui Credit Suisse era partner e advisor. L’amministratore delegato del gruppo, Thomas Gottstein, in carica dal 14 febbraio 2020, ha spinto per la sostituzione dei due super-manager su cui è ricaduta la principale responsabilità e l’onere del duplice fallimento, che segnala i rischi di una fase complessa in cui soprattutto oltre Atlantico la liquidità facile e l’euforia spingono verso operazione spericolate, ma deve fare i conti con una banca che si trova di fronte a elevate problematiche sistemiche. Milano Finanza, non a caso, ricorda che a partire da inizio marzo  la banca svizzera ha lasciato per strada oltre il 22% della sua capitalizzazione, a testimonianza di una crescente sfiducia di mercato nei suoi confronti.

Negli ultimi anni Credit Suisse e il suo top management si sono trovati di fronte più volte a questioni di elevata rilevanza e a problematiche e ambiguità di primaria grandezza che ne hanno messo alla prova la tenuta e hanno provocato problemi di natura reputazionale. Nell’ottobre 2019 il Chief operating officer di Credit Suisse, Pierre Olivier Bouee, il quale si è dimesso dopo aver ammesso di aver assoldato un team professionale incaricato di pedinare e spiare l’ex top manager Iqbal Khan, ex numero uno della gestione patrimoniale del gruppo passato a Ubs dopo forti dissidi con l’ex ceo di Credit Suisse, il franco-ivoriano Tidjane Thiam, temendo un’offensiva della banca rivale e connazionale verso il suo portafoglio clienti. Nel 2020 la banca è stata invece colta in imbarazzo dal default di due importanti clienti coinvolti in truffe e malversazioni, la “rivale” cinese di Starbucks, Luckin Coffee, e la piattaforma tedesca dei pagamenti Wirecard. Inoltre, sottolinea il Financial Times, Credit Suisse “rischia un danno da 680 milioni di dollari per cause legate a dei mutui cartolarizzati dell’era della crisi dei subprime” e ha dovuto recentemente cancellare “450 milioni di dollari di investimenti nel fondo York Capital” dal suo bilancio.

Gottstein, ad della banca, si trova ora di fronte alla necessità di coniugare due necessità complementari ma che possono coesistere solo con un lavoro delicato e preciso. Da un lato, preservare la presenza nei suoi depositi di una fascia ampia di clienti ricchi e facoltosi che si affidano alle sue attività di risparmio gestito ricostruendo l’affidabilità del suo nome; dall’altro, partecipare alla partita classica delle banche di investimento, fondamentale per cercare redditività in tempi di bassi tassi d’interesse e elevata incertezza, senza subire pressioni per assumersi una quota di rischio ingiustificata da parte di elementi del top management.

Un dualismo che contraddistingue buona parte dell’alta finanza europea in una fase in cui buona parte delle tentazioni vengono da oltre Atlantico, dal mercato americano: nel 2021 dunque assieme alla reputazione Credit Suisse metterà in gioco la stessa credibilità della finanza elvetica, a lungo oasi di stabilità nelle buriane borsistiche globali. Dal 30 aprile sarà coadiuvato dal nuovo presidente Antonio Horta-Osorio, che attualmente è il direttore del gruppo Lloyds Bank e prenderà il posto di Urs Rohner che si ritirerà dopo aver raggiunto il limite di dodici anni alla presidenza di Credit Suisse. Un cambio di governance in cui si inserisce un rimpasto importante ai vertici della sezione della banca d’investimento dopo una fase di grave debolezza finanziaria: a testimonianza del fatto che anche nell’alta finanza il primo obiettivo da conseguire per qualsiasi amministratore che voglia fare un lavoro performante è quello di saldare una base fiduciaria solida e inscalfibile per preservare l’immagine della banca da scandali e attività spericolate.