È ancora lontana la conclusione definitiva della guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina. Il braccio di ferro economico che contrappone le due superpotenze dura ormai da quasi due anni e, nonostante l’intesa preliminare raggiunta alla Casa Bianca, è destinato a protrarsi ancora.
Certo, i segnali di distensione alleggeriscono i carichi di pressione che le due parti in campo devono sopportare, ma la Fase uno appena raggiunta è soltanto il primo passo verso quella che dovrebbe essere una Pax commerciale a 360 gradi.
In un saliscendi di turbolenze e schiarite, minacce e riavvicinamenti, è utile ripercorrere le principali tappe della Trade War che ha coinvolto Washington e Pechino.
Un deficit commerciale pauroso: l’origine della guerra
L’idea di arginare l’avanzata economica della Cina ricorrendo all’arma protezionista dei dazi non è stata partorita da Donald Trump. Il tycoon è solo l’esecutore materiale di una politica aggressiva contro Pechino che da tempo era oggetto di discussione tra i corridoi della Casa Bianca.
In ogni caso, nel marzo 2018 Trump annuncia tariffe del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% sull’alluminio provenienti da diversi Paesi, nel tentativo di ridurre l’enorme deficit commerciale degli Stati Uniti. Nel 2017, questo valore ha infatti raggiunto l’enorme quota di 566 miliardi di dollari, di cui ben 375 miliardi con la Cina. Guarda caso il più grande produttore mondiale di acciaio e alluminio.
A marzo dello stesso anno arriva la risposta della Cina: Pechino prepara una lista contenente 128 prodotti statunitensi su cui minaccia di imporre dazi doganali tra il 15% e il 25% se i negoziati con Washington per raggiungere un’intesa dovessero fallire.
A maggio i due Paesi annunciano una bozza di accordo in base alla quale la Cina accetta di ridurre il suo surplus commerciale offrendosi, tra l’altro, di acquistare beni Usa extra. Pochi giorni dopo, Washington pone fine alla tregua aumentando i dazi su 200 miliardi di dollari di importazione cinesi. Trump apre un nuovo fronte nella guerra commerciale: il 15 maggio il presidente impedisce alle aziende americane di utilizzare le apparecchiature di telecomunicazione straniere ritenute un rischio per la sicurezza. Questa è una chiara mossa contro il gigante cinese Huawei.
Dazi e controdazi
A fine giugno si aprono nuove negoziazioni in occasione del G20 di Osaka. Trump e il presidente cinese Xi Jinping stabiliscono un “cessate il fuoco”. Gli Stati Uniti si impegnano a non imporre nuove tariffe. I negoziatori americani e cinesi si incontrano a Shanghai il 30 e 31 luglio per colloqui definiti “costruttivi”.
Ad agosto Washington accusa Pechino di non aver rispettato le promesse di acquistare prodotti agricoli Usa e fermare la vendita dell’oppioide fentanil. Trump decide così di piazzare tariffe del 10% su altri 300 miliardi di dollari di merci cinesi a partire dal primo settembre. Una mossa del genere è rischiosa perché significherebbe sottoporre a dazi tutti i 660 miliardi di dollari di scambi annuali tra le due maggiori economie del mondo. Pechino ovviamente minaccia contromisure.
Sempre ad agosto la Cina apre un terzo fronte della disputa con gli americani: la guerra valutaria, che si aggiunge a quella commerciale e tecnologica. Il Dragone permette allo yuan di scendere sotto le 7,0 unità rispetto al dollaro per la prima volta in 11 anni. Washington accusa quindi i rivali di manipolare la propria valuta per sostenere le esportazioni. Nel frattempo i media cinesi annunciano che Pechino ha sospeso gli acquisti delle esportazioni agricole americane.
A settembre scattano nuove tariffe incrociate: gli americani impongono dazi del 15% su 112 miliardi di dollari di prodotti made in China, mentre i cinesi reagiscono con l’innalzamento dal 5% al 10% dei (contro)dazi su alcuni prodotti Usa, inclusi semi di soia, petrolio e auto, per un giro d’affari di 75 miliardi di dollari. Xi colpisce duro e prende in pieno le merci di largo consumo americane, tra cui vestiti, tv a schermo piatto, elettrodomestici e carni.
Ma non è finita qui, perché dal primo ottobre – secondo i piani dell’amministrazione Usa – i dazi del 25% già in vigore su 250 miliardi di merci cinesi saliranno al 30%. E dal 15 dicembre gli Usa minacciano di applicare l’aliquota del 15% su altri 160 miliardi di import.
L’apertura e l’intesa sulla Fase uno
Settembre è un mese caldissimo. La Cina presenta un ricorso al Wto contro gli Stati Uniti per gli ultimi dazi imposti. Trump annuncia lo slittamento di due settimane dell’aumento di dazi sui beni cinesi importanti negli Usa per 250 miliardi di dollari. L’entrata in vigore delle nuove tariffe viene così posticipate dal primo al 15 ottobre prossimo. È il segnale della distensione.
Dopo aver incontrato il vice presidente cinese Liu He, al termine di altri negoziati, Trump esce allo scoperto: “Siamo arrivati alla fase uno di un accordo sostanzioso”. Congelati gli aumenti tariffari del 5% su 250 miliardi di beni cinesi importati negli Usa che sarebbero altrimenti scattati dal prossimo 15 ottobre. La parziale intesa comprende i servizi finanziari, i prodotti agricoli e progressi sul contenzioso relativo alla proprietà intellettuale. La Cina acconsente all’acquisto di prodotti agricoli statunitensi per 40-50 miliardi di dollari.