Estendere il perimetro del golden power, oggi lo strumento più efficace nelle mani del governo italiano per tutelarsi da acquisizioni straniere di imprese strategiche, a più settori e anche a potenziali scalate provenienti dai Paesi dell’Unione europea? Nei palazzi romani l’ipotesi circola, in una fase delicata sotto il profilo economico e finanziario.

A farsene principale portavoce è il Copasir, estremamente dinamico nel lanciare avvertimenti circa il rischio di scalate ostili nei confronti del sistema Paese. Nel comitato presieduto dal leghista Raffaele Volpi è elevato l’attivismo e lo spirito d’iniziativa del vicepresidente, il senatore Adolfo Urso di Fratelli d’Italia,che dopo aver invocato una “linea del Piave” contro le minacce al sistema Italia legate alla crisi economica da coronavirus ha contribuito a una presa di posizione favorevole da parte del governo e ha, recentemente, ampliato il suo ragionamento politico.

Proprio da Urso viene la principale spinta per estendere, secondo le ultime dichiarazioni, a tutti i Paesi europei l’applicazione dei poteri speciali per un periodo temporale di dodici mesi. Una constatazione necessaria per rendere pienamente operativa l’applicabilità del golden power, di cui si immagina l’estensione a “banche, assicurazioni, aziende di tecnologia ospedaliera”. Tutte in diverso modo strategiche per controbattere all’emergenza economica e sanitaria da coronavirus.

Ma non finisce qui: il Copasir propone anche l’istituzione di un “Fondo tricolore” partecipato da Cassa Depositi e Prestitiper tutelare anche il resto dei comparti industriali dalle acquisizioni straniere in momenti di maggiore debolezza. La proposta va nella direzione che sembra essere stata imboccata dalla Germania dopo il superamento dell’austerità, attraverso la costituzione di un fondo dedicato proprio a rilevare quote di aziende tedesche passabili di scalata straniera.

La consapevolezza del rischio di un assalto straniero all’industria italiana è elevato. E coinvolge, oltre al Copasir, anche il governo, con il sottosegretario Riccardo Fraccaro a fare da intermediario, e il Quirinale, attento a esercitare opera di moral suasion in questo frangente. Come evidenzia La Stampa, ci sono segnali che provengono dalla Borsa e che coinvolgono principalmente il titolo Eni. Il cane a sei zampe ha subito negli ultimi giorni una “flessione poderosa e innaturale” che è arrivata a sfiorare addirittura il 50%, “un valore così basso da rendere possibile ogni azione ostile”. In questo contesto, una diga fondamentale è rappresentata dalla Consob di Paolo Savona, che nei primi giorni della tempesta finanziaria ha aspettato, osservando i settori dove si andavano più concentrando potenziali rischi speculativi per i nostri asset strategici, finendo poi per blindare Piazza Affari con il divieto delle vendite allo scoperto.

Con una delibera del 17 marzo l’autorità di vigilanza sulle operazioni finanziarie, si legge nel testo del regolamento, ha voluto “introdurre temporaneamente un regime di trasparenza rafforzata sulle partecipazioni detenute dagli investitori nelle società italiane quotate in Borsa a più alta capitalizzazione e ad azionariato diffuso”, imponendo agli azionisti di un gruppo di 48 società quotate con valore borsistico superiore ai 500 milioni di euro di comunicare ogni partecipazione superiore all’1% del totale così da poterne valutare, in prospettiva, l’evoluzione. Tale scelta rappresenta una chiave di volta dell’architettura di protezione delle imprese strategiche, dato che consente di individuare in partenza ogni possibile manovra ostile di acquisizione massiccia di azioni sul mercato diffuso, prodromo di ogni Opa ostile che avviene in borsa.

I titoli coinvolti nella manovra, citati da StartMag, comprendono i campioni nazionali a partecipazione pubblica (Eni, Enel, Leonardo, Snam), i grandi gruppi bancari e assicurativi (Intesa, Unicredit, Generali, Mediobanca), diversi colossi dell’industria privata (Salini Impregilo e Pirelli) e i grandi gruppi dell’informazione (Mediaset, Rcs).

L’impressione è quella della costituzione di un sistema protettivo a cerchi concentrici da parte delle varie istituzioni. Un procedimento graduale che unisce competenze dei vari istituti, senza strappi ma con un metodo di lavoro ben preciso: preservare dai rischi il nocciolo duro dell’attività economica italiana senza per questo dimenticare la vasta platea delle imprese di media e più piccola taglia.

Senza queste premesse fondamentali, anche il consolidamento del golden power risulterebbe dimezzato: la tutela degli asset strategici è, ora più che mai, vitale perchè il sistema Italia, in un contesto di crisi economica internazionale, può giocare principalmente in chiave difensiva la partita della competizione globale. Preservando intatte le leve del rilancio economico, politico e commerciale in vista della fase delle politiche anticrisi, che si annuncerà lunga e delicata. Difendere con metodo ora i campioni nazionali dalla prospettiva di una scalata straniera, di qualunque provenienza, che porti fuori dall’Italia le leve del comando sulle loro attività vale una manovra di stimolo, perchè contribuisce al radicamento degli asset di cui presto Roma avrà pieno bisogno. E la sinergia istituzionale in questo campo fa ben sperare che questo obiettivo sia condiviso.

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