Il passaggio di Piazza Affari in mano al listino paneuropeo a guida francese Euronext ha rappresentato uno degli eventi più importanti nella finanza europea  L’uscita del London Stock Exchange dal controllo su Borsa Italiana è stata, in questa fase chiave, una conseguenza strutturale della Brexit ma anche una dimostrazione della trasformazione del mercato continentale, orientato a una crescente concentrazione.

In questo contesto, a oltre un anno dalla chiusura dell’accordo con cui Lse, desiderosa di mettere le mani sulla piattaforma dati Refinitiv, ha scelto per motivi di trasparenza e concorrenza di passare Piazza Affari al gruppo a guida transalpina si possono valutare in senso complessivo le prime conseguenze della transazione.

In primo luogo, è chiaro che la continuità d’azione tra governo, apparati dello Stato, Copasir e mondo finanziario ha, sia nell’era del Conte-bis che nell’era Draghi, prevenuto le più estreme preoccupazioni di una dilagante penetrazione francese in campo borsistico italiano. La presenza di Cdp e Intesa, partner di Euronext nel consorzio, ha annacqua il controllo francese, assieme all’attento scrutinio operato dalla Consob di Paolo Savona.

In secondo luogo, l’Italia è riuscita a ottenere un controllo sistemico su un elemento fondamentale del business di Euronext, la gestione dei dati. Euronext – che riunisce oggigiorno il suo ombrello le borse di Parigi, Milano, Bruxelles, Amsterdam e Lisbona – ha deciso nell’aprile di trasferire da Londra il suo principale data center nel campus Aruba di Ponte San Pietro. La compagnia toscana gestirà dunque dai suoi hub nella bergamasca una componente fondamentale della creazione di valore, e la migrazione è stata pensata in modo da rendere Piazza Affari pronta per il passaggio dei mercati di Borsa Italiana sulla piattaforma di trading Optiq, utilizzata da Euronext entro il 2023. Come ricorda La Voce, del resto, questo è importante nell’ottica del business in una fase in cui “le borse più attive sono diventate dei conglomerati finanziari straordinariamente potenti, che controllano dai software che alimentano i back office delle banche agli indici utilizzati nei mercati finanziari e soprattutto controllano i dati utilizzati dagli investitori. Le nuove fonti di reddito sono più stabili delle commissioni da negoziazione, perché vendute tramite abbonamenti e i loro ricavi crescono in maniera esponenziale”.

In terzo luogo, in ogni caso, va valutato che sussiste tuttora un grande differenziale di potenza tra Parigi e Milano. A settembre 2021 le compagnie quotate a Piazza Affari valevano complessivamente poco meno di 727 miliardi di euro, circa il 15% dei quali imputabili a due sole aziende, Enel Eni, peraltro a partecipazione statale. Una cifra che sminuisce di fronte ai quasi 4 trilioni di euro di capitalizzazione della borsa di Parigi. La quale è la regina del gruppo e attraverso Stephane Boujnah esprime l’ad di Euronext con il placet del presidente Emmanuel Macron. Questo può portare a ritenere dubbi o quantomeno da verificare determinate manovre che hanno, apparentemente, rafforzato il sistema-Paese Italia ma, al contempo, sembrano depotenziare Piazza Affari. Ad esempio  la decisione di Euronext di accentrare presso la Cassa di Compensazione e Garanzia basata a Roma tutte le attività di “clearing” delle Borse nel network europeo, comprendenti il processo di calcolo delle obbligazioni reciproche degli operatori contraenti e il processo di trasferimento dei titoli, può essere letta in una chiave di divide et impera.

Non a caso, quarto punto, dal potenziamento e dal rilievo ottenuto tramite l’espansione di Euronext la Francia ha ottenuto il potenziamento sistemico della sua base finanziaria, risultando nel 2020 il Paese europeo col tasso più alto di investimenti in start-up (5,4 miliardi di euro) davanti anche alla Germania, storica leader nel Vecchio Continente, complice un crescente dinamismo e una maggiore arrembanza della sua imprenditoria. Al contempo, invece, l’Italia fa i conti ancora, nota Il Sussidiario, con il “mismatching” drammatico – e peraltro storico – fra 1.800 miliardi di risparmi congelati nei conti bancari e le esigenze di ricapitalizzazione di decine di migliaia di imprese nazionali: quelle che producono Pil, occupazione, export e innovazione” e che spesso sono ad ora escluse dallo sbarco in borsa.

Facendo un bilancio, è dunque ancora presto per capire in che misura l’Italia potrà risultare vincitrice della campagna di espansione di Euronext. I danni più rischiosi, quelli legati a una marginalizzazione decisiva nella fase di avvio della fusione con Piazza Affari, sono stati ad ora fugati, ma complice la continua e spesso insistente attenzione degli attori francesi per i pezzi pregiati del nostro tessuto produttivo ogni prudenza verso Parigi è ben giustificata. La “sfida francese”, in fin dei conti, è in continua evoluzione. All’Italia l’onere di affrontarla cercando di coglierne i massimi dividendi.

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