Sta ricevendo ridotta attenzione la questione dell’ampliamento della mappa di gasdotti e infrastrutture ad essi collaterali con cui Serbia e Bulgaria mirano a ritagliarsi uno spazio nella partita energetica dell’Europa orientale. Belgrado e Sofia si stanno muovendo a tutto campo per diventare degli hub fondamentali per le rotte dell’oro blu e per piazzarsi strategicamente nella nuova geopolitica dei gasdotti che plasma rotte e equilibri tra Europa orientale, Mediterraneo e area del Caucaso.
A dicembre è stata completata la realizzazione del gasdotto Balkan Stream, il complemento esteuropeo dell’infrastruttura Turkish Stream con cui Ankara e la Russia hanno plasmato una nuova direttrice di accesso per il gas al mercato europeo. Nei documenti ufficiali, il gasdotto il cui nome è stato proposto dal premier bulgaro Boyko Borisov viene definito “oggetto di espansione dell’infrastruttura di trasporto del gas naturale della società Bulgartransgaz in parallelo con il principale gasdotto del Nord fino al confine tra Bulgaria e Serbia”, premessa necessaria all’espansione della rotta fino all’Ungheria di Viktor Orban.
La scelta dei Paesi che in questa analisi prendiamo in considerazione va nella direzione della costruzione di hub regionali destinati a interazioni con una molteplice rosa di fornitori. Di conseguenza la visione di Borisov e del presidente serbo Aleksandar Vučić per trasformare i due Paesi in un centro regionale strategico di distribuzione del gas non può limitarsi a una saldatura sul fronte russo-turco ma deve contemplare altre opzioni. Il tutto per finalizzare, tra le altre cose, un progetto di ampliamento della domanda interna, e dunque di garanzia di forniture a basso costo, per le popolazioni dei due Paesi. La Bulgaria, al contempo, deve tenere conto della strategia energetica europea che non vede di buon occhio un aumento della dipendenza da Mosca.
Di conseguenza a livello integrato Sofia e Belgrado stanno esplorando altre opzioni, tra cui quella del cosiddetto Interconnector Bulgaria-Serbia (Ibs) “benedetto” da Bruxelles, il cui cantiere è stato recentemente visitato dal ministro bulgaro dell’Energia Temenuzhka Petkova e dal vice primo ministro e ministro serbo dell’energia Zorana Mihajlovic, e che mira a costruire una “bretella” di 120 km in grado di connettere i terminali bulgari di Dimitrovgrad a quelli serbi di Nis per aprire le porte dell’Europa anche al gas azero proveniente dal Mar Caspio e al gas naturale liquefatto stoccato in Grecia. La compagnia di Sofia Bulgartranzgas ha annunciato che inizierà a maggio e proseguirà fino al 2022 il progetto di realizzazione dell’hub che terminerà nell’antica capitale romana, maggiore città della Serbia orientale, e plasmerà nuovi equilibri nelle rotte energetiche europee.
Si aprirà in questa fase la porta a una sovrapposizione tra le rotte che portano il gas russo nel Vecchio Continente e quelle che “pescano” il gas azero portandolo a Occidente fino all’Italia col gasdotto Tap. A cui si aggiungerà il gas naturale liquefatto di cui la Grecia vuole diventare un hub euro-mediterraneo col progetto del Terminale di Stoccaggio e Rigassificazione (Fsru) di Alexandroupolis, partecipato al 20% dalla compagnia bulgara e che può garantire una capacità di stoccaggio di 170.000 metri cubi. Mentre Ibs permetterà un flusso di 1,8 miliardi di metri cubi e anche la possibilità di aprire un mercato subregionale aprendo al reverse flow tra Serbia e Bulgaria.
Il progetto Ibs dà una prospettiva europea alla strategia serbo-bulgara, aiuta il dialogo tra Belgrado e Bruxelles e si ripromette di portare sviluppo e crescita in campo energetico per due Paesi dalle economie fragili e messe alla prova dalla pandemia. A testimonianza del fatto che il massimo valore aggiunto nei mercati energetici si ottiene oggigiorno sul fronte infrastrutturale. L’investimento necessario da 85,5 milioni di euro vedrà anche un coinvolgimento della Banca europea degli investimenti, in prima fila sul fronte del finanziamento di opera ad alto moltiplicatore e valore aggiunto.
Le conseguenze per la sicurezza energetica europea possono essere rilevanti, così come quelle per la nuova percezione geopolitica dell’area dei Balcani, in cui Serbia e Bulgaria possono assurgere a punti di riferimento in questo mercato strategico. Aprendo a nuovi collegamenti che possono integrare gli spazi che vanno dall’Est Europa al Caspio, passando per il Mar Nero, in un ensemble unito da interessi energetici ed economici convergenti. A cavallo tra Oriente e Occidente, tra attori di peso come Ue, Russia e Turchia, player regionali di piccola e media taglia cercano i loro spazi. I Balcani sono vivi e non sono dunque solo un “oggetto” delle grandi dinamiche storiche, come altre mosse quali quella della Romania sull’idrogeno ci confermano. Serbia e Bulgaria si muovono con un pragmatismo e un opportunismo che conferma la loro comprensione della partita in corso.