Paolo Savona è in grande spolvero. Dopo la breve esperienza nel governo Conte I, in cui ha ricoperto l’incarico di ministro degli Affari europei, il navigato accademico sardo ha ottenuto la presidenza della Consob e, con essa, una vista privilegiata sugli andamenti del contesto economico-finanziario italiano e internazionale. Negli ultimi mesi questo gli ha permesso di esprimersi con autorevolezza su un ampio novero di dossier: avvertendo sul rischio di una crisi globale, difendendo la solidità dell’economia italiana e la sostenibilità del debito pubblico, chiedendo una più coraggiosa riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). E, da ultimo, intervenendo sul tema discusso delle criptovalute.
“Non ci dobbiamo muovere dall’idea che le crtiptomonete devono essere pubbliche, di questo sono convinto”, ha affermato Savona nella giornata del 25 ottobre scorso alla lectio magistralis tenuta alla sede romana dell’Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria (Aiaf) sul tema “Innovazione tecnologica e mercati finanziari”. Savona amplia un ragionamento di ampio respiro che lo aveva già portato, nelle scorse settimane, ad accogliere con scetticismo l’introduzione del Libra, il sistema di pagamenti proposto da Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook. A ottobre infatti Savona aveva affermato la sua totale avversità per Libra: “Il problema di fondo, se si diffondono criptovalute come la Libra, è che tu devi essere certo che seguano il metodo dei bitcoin, come affermano, ma non si può fare perché dovrebbero avere un’offerta rigida e non espandibile, 21 milioni di unità, mentre la Libra viene data sul mercato (ammesso che vada avanti, perché incominciano a nascere i problemi)”.
Per Savona, dunque, l’impianto del ragionamento è chiaro: se le monete “virtuali” vogliono essere definite tali, non possono prescindere dal controllo di un emittente centrale di matrice pubblica. Il motivo di fondo è il fatto che solo un decisore esterno al mercato può garantire il potere fiduciario proprio per rendere effettivamente apprezzabile una moneta, impedire episodi speculativi, garantirne il potere di equivalente generale. Nella sua relazione annua da Presidente della Consob, l’ex braccio destro di Guido Carli aveva inoltre condizionato l’ampliamento del controllo pubblico sulle criptovalute, sulle loro emissioni e sulla loro gestione alla costruzione di una strategia nazionale per il fintech, settore su cui l’Italia esprime grandi potenzialità ma necessita di maggiore concretezza.
Perché uno Stato dovrebbe cooptare il potere pubblico per controllare le criptovalute? Secondo Savona, nel caso in cui un attore privato indipendente riuscisse a sommare una forte capacità di emissione di moneta elettronica con una posizione di rendita in campo di transazioni digitali, magari con lo sfruttamento del potenziale dell’intelligenza artificiale, il sistema monetario attuale “verrebbe sconvolto e il sistema finanziario coinvolto” perché “diventerebbe problematico il controllo della quantità di moneta e, ancor di più, la sua riconduzione nell’alveo pubblico”.
I dubbi di Savona sono estremamente legittimi e fondati, ma il discorso sarebbe incompleto se non si sottolineasse il fatto che, allo stato attuale delle cose, non tutte le criptovalute si presentano come potenziali monete in senso stretto. Non tutte, in altre parole, presentano contemporaneamente le prospettive di realizzare contemporaneamente le funzioni di mezzo di pagamento, equivalente generale e riserva di valore. Libra, ad esempio, è stata inizialmente pensata come un’architettura simile più a quella di un titolo avente come sottostante l’ingresso a un circuito di pagamento e di un mezzo indiretto di finanziamento per Facebook che di una moneta in senso stretto. Difficile, all’attuale stato dell’arte, individuare un perimetro netto tra cosa sia e cosa non sia “criptovaluta”. Savona indica il sentiero, ma i regolatori politici dovranno via via essere in grado di fissare perimetri, linee di demarcazione e confini ben precisi per poi decidere tra la soluzione pubblica e quella di mercato.