Dopo la pubblicazione dei dati relativi al 2019, la controllata saudita e colosso petrolifero Saudi Aramco si dimostra impotente di fronte ai fenomeni mondiali. Con oltre il 20% di fatturato in meno rispetto al 2018 la cifra racimolata con la quotazione in borsa – ed equivalente a circa 25 miliardi di dollari – è stata letteralmente bruciata e la società che ha chiuso con un utile netto di 88,1 miliardi di dollari.

Stando a quanto riferito dai portavoce societari, la motivazione sarebbe nel ricercarsi principalmente nella svalutazione del prezzo del petrolio a barile, che ha inciso in modo importante sulle entrate societarie. Tuttavia, il problema nasce dal fatto che – con il rally del prezzo ancora in fase discendente – le prospettive per il 2020 rischiano di essere ancora peggiori rispetto a quelle dello scorso anno.

La  guerra del petrolio sta affossando l’Arabia Saudita?

Quella che si sta affrontando a livello internazionale ed è diventata evidente a causa delle forti ripercussioni sui mercati nella giornata di lunedì scorso è una vera e propria guerra finanziaria destinata a perdurare ancora nelle settimane a venire. Dopo la scelta della Russia di non ridurre le produzioni di greggio per limitare l’offerta il prezzo è crollato ai minimi e, stando alle valutazioni degli esperti, il suo valore potrebbe ancora flettersi. Benché un taglio delle produzioni potesse essere l’unica mossa per scongiurare la crisi del valore del greggio, l’Opec+ non è riuscita nell’accordo ed i Paesi arabi hanno rilanciato con la più totale apertura dei rubinetti: dando il via alla guerra dell’oro nero.

In questo scenario, le ingenti perdite che subirà il mercato del petrolio si ripercuoteranno sulle società e sui Paesi produttori stessi, i quali giocheranno ad una battaglia di resistenza che rischia di stremare i partecipanti. E nonostante lo sprint iniziale gli sfavoriti di questo conflitto sono proprio i Paesi arabi, cui economie sono quasi totalmente dipendenti dalla produzione del greggio; con la Russia e gli Stati Uniti che in questi termini godono di una maggiore diversificazione delle proprie economie.

Il crollo della domanda è un grosso problema

Il crollo della domanda del mercato unito al crollo del prezzo al barile sono un grosso problema per l’Arabia Saudita che, come già sottolineato, dipende nella sua maggior componente dalla produzione dell’oro nero e relativa lavorazione. I danni in termini di entrate statali dettati dalle perdite di fatturato rischiano di ripercuotersi sul Pil del Paese e nella gestione del proprio debito internazionale; in un momento in cui dimostrare maggiore solidità a livello internazionale sarebbe considerato preferibile. E con i dati per il 2020 assolutamente non favorevoli, le paure relative allo stato di salute delle proprie aziende private e delle controllate statali diventano molteplici.

Lo stesso valore della Saudi Aramco – dopo il balzo iniziale – hanno subito una drastica flessione, assestandosi sotto il proprio prezzo di listino. E la sfiducia degli investitori nella società saudita evidenzia più di una perplessità riguardo alla tenuta del mercato petrolifero nei mesi a venire. Non potendo tagliare la propria produzione in assenza di un accordo a livello di Opec+ per il rischio intrinseco di perdere fette di mercato, i margini di guadagno diventano sempre più ristretti mentre i costi permangono invariati: inficiando sull’utile netto aziendale. E con il trend destinato a durare ancora nel prossimo futuro, sono sempre di più i dubbi che circondano la controllata statale dell’Arabia Saudita che – nonostante sia un colosso di mercato – si dimostra anche lei fragile di fronte ai grandi eventi internazionali.

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