Le sanzioni alla Russia sono un Giano Bifronte. Ircocervo politico da un lato, soprattutto nell’Unione europea dove stanno raggiungendo il limite massimo di applicabilità per non creare contraccolpi al Vecchio Continente, “martello” economico dall’altro. E se certamente non è vero che le sanzioni da sé sono risolutive per fermare l’aggressione di Mosca all’Ucraina, d’altro canto non si può negare che un impatto economico ci sia e tutt’altro che indifferente.
Russia e sanzioni, le conseguenze del post 2014
Di recente la Russia ha comunicato i dati sul primo trimestre del 2023: la sua economia si è contratta, anno su anno, dell’1,9%. Nel 2022 aveva registrato una crescita del 3,1% in un contesto che la vedeva per due mesi, fino al fatidico 24 febbraio, soggetta a sanzioni più blande di quelle attuali.
Il paragone va – inevitabilmente – alla prima fase di imposizione delle sanzioni alla Russia, quella seguita all’occupazione della Crimea nel 2014. Allora Mosca fu investita dal primo, grande decoupling economico-finanziario occidentale, da fughe di capitali, da rotture di partnership commerciali e da un durissimo attacco contro il Rublo. La perdita per la Russia fu in termini di capitali evaporati, oltre 100 miliardi secondo l’allora premier Dmitry Medvedev, nel 2014 e in termini recessivi nel 2015: nel 2014, infatti, l’economia russa crebbe dello 0,7%, in calo però rispetto al +1,8% del 2013, e nel 2015 crollò del 2% in termini nominali e del 3,7% in termini reali.
Fino al 2016 la Russia precipitò in una dura crisi finanziaria da cui nacque la strategia consolidata dalla governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina di operare strettissimi controlli sui capitali e una vera e propria austerità finanziaria volta a garantire il valore del rublo con l’accumulazione di riserve estere e oro. Questo consentì, unitariamente al ritorno verso l’alto dei prezzi di gas e petrolio, alla Russia di riprendere il sentiero della crescita nel 2017-2018. Quelle sanzioni non hanno, a conti fatti, impedito a Mosca di invadere l’Ucraina ma hanno sicuramente creato un precedente economico: il Pil nominale russo, dopo il 2014, non è più tornato sopra i 2mila miliardi di dollari pre-crisi della Crimea.

Perché l’economia russa non crolla
Oggi la Russia sta subendo una dinamica paragonabile sotto diversi punti di vista. Le sanzioni si dimostrano più incisive sul medio periodo: le statistiche della Banca mondiale mostrano infatti che il dato reale di calo dell’economia russa è, paradossalmente, compensato proprio dalla guerra a Kiev. “Secondo la Banca mondiale, nel 2021 uno dei principali motori della crescita del Pil reale russo erano stati i consumi privati (+4,8%), mentre nel 2022 i consumi privati erano previsti in calo del 4,5%”, nota l’Economic Observatory.
Il calo del Pil reale russo nel 2022 è stato contenuto al 2022 ma “una combinazione di alta inflazione e una forte deviazione dell’attività economica verso la spesa pubblica, in particolare per la difesa (che dovrebbe rappresentare il 30% del bilancio pubblico nel 2023), mostra come una combinazione di continui sforzi bellici e sanzioni stia avendo un impatto significativo sul tenore di vita in Russia”. In altre parole, la guerra genera Pil che poi va “in fumo” sotto forma di impegno bellico in Ucraina, e questo deperisce i consumi privati, gli investimenti industriali e il benessere della popolazione.
Il contesto odierno: somiglianze e differenze
Il calo dell’economia russa è dunque al netto dei grandi investimenti bellici, che tengono in alto la produzione. E anche del fatto che i prezzi energetici sono stati in volo nel 2022 garantendo un extra-gettito alle casse dello Stato. Ma come nel 2015 si ebbero i primi danni reali dopo la batosta sanzionatoria del 2014, anche oggi il danno strutturale all’economia russa si misura più in termini qualitativi che quantitativi. Mosca non ha più accesso a tecnologie critiche, know-how occidentale in ingresso, brevetti ed è sempre più “satellite” della Cina e vincolata al commercio triangolare coi grandi profittatori del conflitto, dalla Turchia agli Emirati.
La differenza rispetto al 2014-2015 sta nel fatto che la Banca centrale è da tempo preparata a una situazione di economia di guerra e ha nel 2022 difeso strenuamente il cambio del rublo dopo il tonfo delle prime settimane obbligando gli esportatori a convertire nella divisa russa i guadagni da valuta pregiata. Ma negli ultimi tempi la riduzione di entrate da gas e petrolio ha costretto Mosca a mordere il freno. Per comprare un dollaro servivano 62,5 rubli sei mesi fa; oggi il cambio è di 80 a 1, con una svalutazione graduale del 22% della moneta russa, tornata debole nonostante l’oggettivamente brillante intuizione della Nabiullina di fermare Vladimir Putin dall’usare fino in fondo la leva della spesa pubblica.
Le sanzioni e il decoupling occidentale stanno aumentando le deficienze strutturali del bilancio russo e questo si riflette nel cambio del rublo. Ancora l’Economic Observatory nota che malgrado “la Russia stia ancora guadagnando circa 640 milioni di euro al giorno dall’esportazione di combustibili fossili (in calo rispetto a un massimo di un miliardo di euro nel marzo-maggio 2022), si stima che il divieto dell’Unione europea sulle importazioni di petrolio raffinato, l’estensione del limite di prezzo al petrolio raffinato e le riduzioni delle importazioni di petrolio da oleodotto in Polonia abbiano ridotto tale importo di circa 120 milioni di euro al giorno a partire da febbraio 2023″. Un calo strutturale che va ovviamente di pari passo, di controcanto, con un effetto di sovrapprezzo energetico per l’Europa. La “guerra psicologica” di Putin sull’energia è un ricordo lontano.

I vincoli delle sanzioni
Ciononostante, questi dati non devono far dimenticare che le sanzioni sono soggette a vincoli non indifferenti. Non possono colpire in profondità prodotti chiave di varia natura in cui la Russia è rentier per la sua posizione nei mercati, pena lo sconvolgimento delle catene del valore globale: dall’oro all’uranio, dai diamanti al rame, passando per i fertilizzanti, ci sono settori dove le maglie sono ancora ampie. E in quest’ottica si preannuncia una difficoltà nell’estensione delle sanzioni stesse.
Se l’efficacia delle sanzioni alla Russia fosse una funzione potremmo definirla a forma parabolica: lieve nel breve periodo, crescente nel tempo ma con un vertice dato dai vincoli strutturali a cui sarà destinata a seguire un mordente minore legato alla capacità di adattamento di Mosca all’economia di guerra, alle mutate dinamiche del mercato globale e alla stessa capacità dell’Occidente di resistere ai costi – non indifferenti soprattutto per l’Europa – che mantenere un regime duro impone.
Nel 2014-2016 le sanzioni devastarono l’economia russa ma non la travolsero e Mosca dal 2017 al 2021 è riuscita a rilanciarsi. Oggi sanzioni ancora più dure stanno scontrandosi con la mobilitazione para-bellica del sistema industriale russo, con il legame con gli andamenti del conflitto sul campo e con un sistema globalizzato che ha preso le misure e lucra sulla rottura dei rapporti russo-occidentali. Chi cederà per primo? L’economia russa farà crac depotenziando la capacità di rifornimento della guerra in Ucraina? O l’Europa e gli Usa dovranno scontrarsi con l’impossibilità di mantenere un regime duro se l’inflazione resterà alta e la recessione colpirà l’Occidente? Dalla risposta a queste domande dipenderà chi vincerà il “gioco del pollo” delle sanzioni. Occorre capire quanto in là nel tempo la parabola avrà il suo flesso. E la scommessa russa è che questo si raggiunga il prima possibile. Ma prima di due anni di piena applicazione la storia recente insegna che è ancora prematuro dare giudizi definitivi.