Dalla partita geopolitica ed economica sul gas a quella sul grano. Se nell’estate 2022 con le sue manovre improvvise sugli stop alle forniture di gas e le spinte al rialzo dei prezzi la Russia ha lanciato una “guerra psicologica” sui mercati del gas, con l’obiettivo di tenere alti i prezzi e rendere onerosa la diversificazione europea dall’oro blu di Mosca, quest’anno potrebbe essere un’analoga manovra ad aver spinto il ritiro dagli accordi sul grano ucraino. Arrivati a scadenza e non rinnovati anche, se non soprattutto, per la reticenza di Mosca.
La conseguenza di questa mossa può essere una grande instabilitĂ . La Black Sea Grain Initiative mediata nel maggio 2022 dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan e dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres apriva alla prospettiva di veder approfondito il traffico di cereali prodotti in Ucraina nel Mar Nero con la formale clausola che le navi di Kiev avrebbero potuto viaggiare partendo alla volta di Paesi in difficoltĂ alimentare. Il solo porto di Odessa sfama 400 milioni di persone tra Africa sub-sahariana, Medio Oriente e subcontinente indiano. Mosca accusa l’Ucraina di usare l’uscita del grano ucraino come pretesto per rifornire mercati ben piĂą saturi e ottenere valuta pregiata. E nelle mosse del Cremlino e di Vladimir Putin potrebbe esserci, mutatis mutandis, una logica simile a quella dello scorso anno.
“Il blocco delle esportazioni cerealicole dal bacino del Mar Nero ha infatti un enorme potenziale distruttivo sul piano economico, come testimoniato dalla spirale inflazionistica dei prezzi del cibo verificatasi all’indomani dell’inizio delle ostilitĂ ”, nota Formiche. La spirale si è verificata “soprattutto in quei Paesi (per la maggior parte africani) con una forte dipendenza dalle importazioni del grano ucraino”.
E dunque, “così come il raggiungimento dell’accordo sul grano ha poi permesso di far rientrare almeno parzialmente l’emergenza, una sua revoca potrebbe rimettere in moto l’intero processo”. Facendo sentire il fiato sul collo all’Occidente e – perchĂ© no – anche a quella Turchia con cui la Russia ha un rapporto positivo ma non privo di crepe, come è tipico di tutte le potenze che trescano con Erdogan ma sono puntualmente lasciate al palo dai suoi numerosi giri di valzer. In questo caso manifestatesi con un nuovo protagonismo in campo atlantico al summit di Vilnius, conclusosi con l’accoglienza della Svezia con il benestare di Ankara.
Alla Borsa di Chicago, nota il Wall Street Journal, l’annuncio della fine dell’accordo da parte del portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov, ha prodotto un’impennata del 34% del future sul grano a 6,84 dollari al bushel. I mercati internazionali avevano giĂ interiorizzato nei mesi scorsi l’aumento prevedibile dei prezzi per uno stop agli accordi e nelle ultime settimane il clima era stato segnato, piuttosto, dai dati positivi sui raccolti in arrivo che avevano raffreddato i mercati. Con la Black Sea Grain Initiative 36,2 milioni di tonnellate di cereali sono usciti al sicuro dai porti ucraini in poco piĂą di un anno. L’Ucraina, lo ricordiamo, esporta anche mais e la Russia è il primo produttore al mondo di fertilizzanti, quindi lo stop alla catena del valore globale può avere conseguenze politiche a tutto campo.
A cosa può puntare la Russia? Da un lato, a far sentire il peso crescente della crisi alimentare in un Occidente in cui la disruption delle catene del valore può colpire duramente. Il carrello della spesa è già aumentato del 25% in due anni nel Regno Unito e alcuni beni sono saliti anche del 175%, mentre analoghi timori si registrano negli Usa. La guerra psicologica sul gas colpiva il prezzo Ttf del gas di Amsterdam. Quella sul cibo può agire a Chicago, cuore delle negoziazioni sui cereali. La guerra economica è portata in casa agli avversari.
Dall’altro, Mosca può contribuire non rinnovando gli accordi a far crescere la pressione al fianco Sud dell’Europa e dell’Occidente. Una crisi alimentare può creare le condizioni per una nuova bomba migratoria e per un risveglio delle periferie che può creare altri fronti ai suoi rivali. In quest’ottica, Mosca mira a scaricare sull’Occidente e l’Ucraina le colpe per il mancato rinnovo adducendo le condizioni eccessive poste in termini di ristrettezza dell’esclusione dalle sanzioni di banche russe e la mancanza di contropartite industriali e commerciali a Mosca negli accordi. Ma al contempo può usufruire di un’arma ibrida che, cinicamente, è in grado di diventare una spina nel fianco ai suoi rivali.
Quest’ultima mossa può rivelarsi, però, un Frankenstein. Troppo pericoloso il pensiero della crisi alimentare mondiale come arma di reazione della Russia alle sanzioni per essere preso in considerazione come manovra non priva di conseguenze geopolitiche globali. E la Russia prima di tirare troppo la corda dovrebbe guardare i dati sul caro vita in due Paesi a lei molto vicini: Nigeria e India. Nel gigante centrafricano il governo ha varato lo stato d’emergenza per il carovita alimentare mentre l’inflazione è al 22,79%. In India alcuni alimenti sono raddoppiati nel solo 2023 e vicino Mumbai sono giĂ scoppiati tumulti. Lo stop agli accordi del grano può creare il disordine mondiale non verificatosi nel 2022, anno in cui comunque le crisi alimentari e le proteste furono all’ordine del giorno.
Nel 2022 la guerra psicologica sul gas fu depotenziata da conseguenze esterne: un inverno mite che evitò all’Europa di restare al freddo coi consumi di gas ai massimi e i prezzi in volo. Oggi, scrive Politico.eu, la soluzione potrebbe essere il piano B ucraino, almeno nel breve periodo: “L’Ucraina ha preparato un piano di riserva per far uscire le sue spedizioni di grano senza l’accordo. Ciò dipende in parte da un fondo di garanzia di 500 milioni di dollari per coprire eventuali danni o spese sostenute dalle navi che attraversano il Mar Nero e in parte sulla spedizione di piĂą grano attraverso il Danubio europeo” e i fiumi collegati, tra cui il sistema dei porti imperniato sullo scalo fluviale moldavo di Giurgiulesti alle foci del Prut, in Moldavia. Molto dipenderĂ non tanto dalla capacitĂ di creare forniture alternative, che come nel caso del gas esistono, quanto piuttosto dalla spinta a governare l’irrazionalitĂ dei mercati. Da cui in questa fase possono, nel breve periodo, dipendere la fame o la sazietĂ di milioni di persone. A cui non sarĂ tanto la mancanza di grano, quanto piuttosto i prezzi esplosivi imposti dalla fine del patto mediato dall’Onu, a cagionare il maggior rischio.