Proprio come Washington anche Pechino deve fare i conti con la sua Rust Belt. La cintura di ruggine cinese si estende nell’area nord-orientale del Paese, dove c’è la più alta concentrazione industriale di tutta la Cina.

Gli Stati Uniti hanno subito un duro contraccolpo sociale ed economico per la forte crisi che negli ultimi anni ha colpito la Rust Belt americana. Qualcosa di simile non ha lasciato immune neppure il gigante asiatico.

La Rust Belt della Cina

In Cina la Rust Belt comprende principalmente le tre province del nordest (o Dongbei, come lo chiamano i cinesi): Liaoning, Jilin ed Heilongjiang . L’intero territorio misura oltre 800.000 chilometri quadrati, l’8% del totale, e ospita una popolazione di 109 milioni di abitanti, anche in questo caso l’8% di tutti i cinesi.

Il Pil pro capite è uno dei più bassi della Nazione e si attesta intorno ai 3,700$. Le esportazioni che partono da qui rappresentano il 15% del Pil ma la percentuale è in caduta libera. Se ai tempi di Mao il Dongbei era il bastione dell’industria pesante di proprietà statale, il fiore all’occhiello di Pechino, e i suoi operai l’élite socialista, oggi questo territorio è una sorta di Luna Park dei vecchi tempi.

Un modello in crisi

Con la riforma del mercato, avviata alla fine degli anni ’80, l’incantesimo si è rotto e l’intera regione ha subito un grave contraccolpo economico. Il nuovo Stato fu costretto a chiudere le fabbriche più inefficienti e alcune stime parlano di 30 milioni di esuberi forzati. Tutt’oggi il governo centrale deve porre correttivi a un territorio ormai allo sbando.

Il mondo è cambiato rispetto agli anni’50, la struttura industriale di una volta non regge più il confronto con le agili start-up tecnologiche che stanno trainando il sud della Cina. Come se non bastasse il Dongbei ha quasi finito le risorse naturali a cui si appigliavano le enormi imprese statali.

Il carbone è agli sgoccioli, e per scavare più in profondità servono nuove tecnologie e capitali, due strumenti che le logore industrie locali non possiedono. Così le miniere chiudono una dopo l’altra, alimentando il numero di disoccupati.

Economia a picco e popolazione in calo

I numeri lo confermano. Nel 2018 le economie di Liaoning, Jilin ed Heilongjiang sono cresciute tra il 4,5% e il 5,7%, attestandosi tra le province cinesi con la crescita più lenta, distante dal tasso nazionale del 6,6%.

Un altro problema che attanaglia la cintura di ruggine della Cina è l’enorme debito accumulato dalle amministrazioni locali, che supera i 2 miliardi di yuan. Le ultime rilevazioni sullo stato di salute economico di queste tre province è impietoso. La quota regionale del Pil nazionale è scesa al 6,3 nel 2018; nel 1990 era ferma all’11%.

In uno scenario simile gran parte della popolazione ha fatto le valige. Le città si sono svuotate dall’interno: molte attività sono chiuse perché i proprietari sono partiti per cercare fortuna altrove. Tieling, una delle città più tristemente note di quest’area, ha fatto registrare nel 2017 un tasso di crescita della popolazione negativo, pari a -1,6%.

Timidi segnali di rinascita

La grande sfida di Pechino è adattare le province nordorientali del Paese al XXI secolo. Per arginare il declino strutturale di uno dei territori più importanti della Cina sono necessari nuovi motori di crescita. All’orizzonte si intravede un’ancora di salvezza; quella lanciata dalle start-up tecnologiche.

Serve una modernizzazione e solo una collaborazione tra le imprese statale e queste nuove realtà possono consentire un risultato simile. Non sarà facile, ma Pechino deve insistere. O la ruggine della Rust Belt potrebbe presto contagiare il resto del Paese.

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