Fino a che punto gli Usa e l’Occidente intendono spingere la guerra finanziaria alla Russia? La presenza di manovre politiche volte a portare Mosca al default tecnico per gli Stati legati a Washington (ma non per il resto del mondo) è la definitiva consacrazione di una strategia a tutto campo volta a escludere la Russia dai marcati finanziari globali. Ma questo rischia di creare un contraccolpo a tutto campo mentre nel frattempo il rigorismo totale messo in campo dalla Banca centrale guidata da Elvira Nabiullina prova a tutelare il rublo dagli impatti più duri delle sanzioni mirando al consolidamento della rendita energetica in sostegno alla divisa di Mosca.
Dopo le Ferrovie russe, spinte al default tecnico, il blocco della possibilità di pagare il debito estero in dollari per il mancato rinnovo di una licenza speciale concessa dal governo Usa può, spiega il Corriere della Sera, concretizzare lo stesso esito anche per il governo russo che “dovrebbe rimborsare circa 100 milioni di dollari di debito estero in scadenza proprio oggi”. E anche la Credit Bank of Moscow (Mbk), controllata dall’oligarca russo Roman Avdeev, lotta contro il tempo per evitare il default sul pagamento di una cedola maturata lo scorso 10 maggio su un eurobond subordinato. “La capacità della banca di fare pagamenti” attraverso “i consueti canali è ancora limitata dalle restrizioni sul congelamento degli asset imposte a Mkb dall’Ufficio sull’implementazione delle sanzioni della Gran Bretagna (Ofsi)“, scrive l’istituto moscovita, una delle maggiori banche private del Paese, in una nota.
Ma in quest’ottica, come abbiamo avuto più volte modo di sottolineare, le sanzioni finanziarie perdono il focus principale che dovrebbero tenere sotto considerazione: il ruolo del rublo e dell’industria energetica nell’alleviare il danno macroeconomico alla Russia. Sull’ondata della fuga di capitali massiccia, dell’assalto finanziario e dell’effetto-caos scatenato dalla guerra in Ucraina, l’Occidente si è illuso che il crollo del rublo delle prime ore di conflitto fosse strutturale; ha ritenuto possibile scegliere la via degli ignavia, aspettando l’implosione finanziaria della Russia senza accelerarla laddove si rischiavano conseguenze dirette in campo energetico; non ha compreso la strategia di resistenza economica messa in campo dal 2014 dalla Nabiullina, che vincolava di fatto lo stesso governo di Vladimir Putin a una durissima deflazione interna e a un’austerità rigorosa in nome del consolidamento delle riserve valutarie e auree. Tutto questo, con il corollario del mancato distacco tra Russia e Cina, tiene a galla il rublo. Il quale, anzi, dopo esser tracollato ha recuperato fino ai massimi da cinque anni a questa parte contro euro e dollaro.
Dopo averli portati a inizio guerra al 20% per arginare la fuga di capitali la Banca centrale russa si è perfino permessa di operare tre tagli lineari ai tassi di interesse. A fine aprile li ha portati al 17%, in seguito a inizio maggio li ha abbassati di altri tre punti percentuali e la scorsa settimana li ha portati all’11%. Sul mercato dei cambi, sottolinea il Corriere, “il rublo, che due giorni fa aveva toccato un massimo di 55 sul dollaro (55 rubli per un biglietto verde), protetto dalle misure di controllo dei capitali messe in campo dal governo russo e dalla sua banca centrale, ha ora iniziato una fase di correzione: la valuta è arrivata a perdere l’8% sul dollaro, scivolando quasi a quota 65″, un valore comunque migliore di qualsiasi rapporto col biglietto verde raggiunto dalla pandemia in avanti e esattamente dimezzato dal picco negativo di 130 a 1 raggiunto il 10 marzo scorso.
Tutto questo, ovviamente, non significa che l’economia russa non soffrirà le sanzioni: la stessa Nabiullina è stata la più dura nel ricordare le difficoltà cui la Russia, e soprattutto i suoi cittadini, è immersa: una feroce inflazione (attorno al 20%) unita a un duro colpo al Pil (-8 o addirittura -10% di tracollo nel 2022) faranno sentire le loro conseguenze sul Paese. Ma la strategia di spingere Mosca al default tecnico rischia di rimbalzare sugli Usa e gli alleati finché non si risolverà un nodo gordiano oggi difficilmente affrontabile: Mosca lucra decisamente sui contratti energetici e si consolida sotto il profilo valutario e macroeconomico grazie alla conversione di euro e dollari ricevuti dai Paesi europei in rubli attraverso i Conti K di Gazprom. Che senso ha spingere Mosca su un fronte a un default unilaterale impedendogli di pagare in dollari se dall’altro fronte le si consente di tesaurizzare valuta pregiata? Tutto ciò, in prospettiva, può solo arrecare danni e sofferenze alla popolazione russa senza danneggiare minimamente la macchina bellica russa impegnata in Ucraina. Danneggiando al contempo la credibilità delle valute occidentali come riserva di valore globale. La dottrina difensiva della Banca centrale russa è stata, sino ad ora, inscalfibile tanto dal populismo finanziario del Cremlino quanto dall’assalto occidentale. Ed è la vera garanzia sulla sopravvivenza di Mosca, difficilmente intaccabile anche da una possibile insolvenza imposta dall’Occidente.