La strada che porta al tesoretto in arrivo da Bruxelles è stretta e in salita. Come già successo per i vaccini, l’Europa dovrà rivedere la tabella di marcia sui lavori del Recovery Fund: su 27 Paesi europei, ben dieci devono ancora ratificare la decisione sulle risorse proprie (Estonia, Polonia, Ungheria, Austria, Finlandia, Romania, Paesi Bassi, Irlanda, Lituania) e la data di scadenza è quella del prossimo 30 aprile, una manciata di giorni.
Una “matassa”, però, sembra essersi sbrogliata: la Corte costituzionale tedesca ha dato il via libera all’adesione del governo di Angela Merkel al Recovery Fund dell’Unione europea che ha stanziato 750 miliardi di euro per la ripresa economica dopo la crisi indotta dalla pandemia. La Corte di Karlsruhe ha respinto il ricorso che era stato presentato contro la partecipazione tedesca al piano europeo. I giudici dovrebbero esprimersi entro fine mese. Per quanto riguarda invece il piano, Berlino ha avuto diversi confronti con Bruxelles perché c’è uno squilibrio tra riforme e investimenti.
Spagna vicina alla consegna
La Spagna, invece, ha tutte la carte già in regola. Probabilmente già la prossima settimana presenterà il suo piano a Bruxelles: con i 72 miliardi che dovrebbe ricevere entro il 2023, è la prima beneficiaria del Recovery per sovvenzioni, seconda se si contano anche i prestiti (dopo l’Italia) che portano la somma a 140 miliardi di euro. Nel piano sono previsti 110 grandi progetti di investimenti, 102 riforme pianificate che toccano 10 aree politiche. Saranno rivisti, tra gli altri, il sistema pensionistico e il mercato del lavoro. Sarà riformata anche la Sanità. Dovrebbe portare un aumento di due punti percentuali l’anno da qui al 2026. Alle politiche green è dedicato il 39% del piano; il 30% alla digitalizzazione e all’Istruzione il 18%. Più di 13 miliardi di euro andranno alla mobilità sostenibile; oltre 4 miliardi alla banda larga e al 5G; 6,8 miliardi per ristrutturare mezzo milione di case.
La Francia mette sul piatto 100 miliardi
Il governo francese ha pubblicato un dettagliato piano di rilancio dell’economia per il biennio 2021-2022, chiamato “France Relance” dando l’impressione che la scadenza del 30 aprile possa essere rispettata. L’obiettivo complessivo, secondo il presidente Macron, è di “costruire la Francia del 2030”: in pratica, si tratta di sfruttare la ripresa post-Covid-19 per modernizzare il Paese nel medio periodo. Il costo del piano è di 100 miliardi ripartito in due anni. Le priorità principali saranno l’ambiente (che assorbirà 30 miliardi), la competitività (34 miliardi) e la coesione sociale e territoriale (36 miliardi), anche se alcuni interventi in un dato ambito possono indirettamente riguardarne altri.
Non è chiarissimo ancora come i 100 miliardi saranno ripartiti tra i due anni. “France Relance” ritaglia un ampio spazio per gli investimenti sulla sostenibilità ambientale: in questo campo, le misure principali sono 6,7 miliardi destinati all’efficientamento energetico di edifici pubblici, di abitazioni popolari e di abitazioni private, 4,7 miliardi di investimenti nella rete e nei servizi ferroviari e 7 miliardi a favore della diffusione e del miglioramento delle tecnologie inerenti ai combustibili a idrogeno. Per quanto riguarda la competitività, il piano si concentra su due grandi misure: taglio delle tasse alle imprese (20 miliardi su due anni) e investimenti in ricerca e sviluppo (11 miliardi distribuiti tra imprese e università).
Europa del Sud quasi pronta
Piani ambiziosi anche per la Grecia che avrà a disposizione circa 30 miliardi di euro: 17,8 in sussidi e 12,7 in prestiti. Nei giorni scorsi Atene ha firmato con un accordo con la Banca europea per gli investimenti a cui affida la gestione di 5 miliardi di euro. Ma il piano, completato il 30 marzo scorso, è stato già citato come modello anche da alcuni funzionari europei. La manovra, da 170 progetti, chiamata “Grecia 2.0”, dovrebbe fare crescere il Pil del 7% entro il 2026, creare 180 mila posti di lavoro e mobilitare 54 miliardi di investimenti privati.
Il piano di duemila pagine, scrive Agi, poggia su quattro pilastri: transizione ecologica; digitalizzazione dell’economia; politiche sociali; e riforme settoriali. Tra le misure previste vi sono la creazione di infrastrutture 5G, il miglioramento del collegamento delle isole greche alla rete elettrica continentale, la digitalizzazione dei servizi fiscali e la riqualificazione della forza lavoro. Di tenore simile i piani del Portogallo – praticamente pronto per la scadenza di fine aprile – che invece potrà contare su 13,9 miliardi di sussidi Ue. Lisbona prevede infatti 36 riforme e 77 investimenti in ambito sociale, clima e digitalizzazione.
In ritardo i Paesi dell’Est
Maggiori problemi, invece, da alcuni Paesi dell’Est: come riportato da Iusletter, a Bruxelles si segue con una certa ansia il processo di ratifica della Polonia: il governo Morawiecki non ha più la maggioranza. Il partito di ultradestra del ministro della Giustizia/Procuratore generale Zbigniew Ziobro, “Solidarietà polacca” non lo voterà: sostiene che avvia “l’europeizzazione del debito”. Argomentazione in contrasto con il fatto che Varsavia sia tra i maggiori beneficiari del Fondo Ue con 23 miliardi di sussidi e 34 di prestiti. Il governo sta parlando con l’opposizione. “La sinistra” che conta su oltre 40 deputati, ha detto di sì in un primo momento ma ora comincia a porre condizioni. E la tentazione di dire no per l’opposizione è enorme: se cade il Recovery, cade il governo. Ma a fermarsi potrebbe essere anche l’Europa. Risultato: nessuna calendarizzazione della legge.
In Ungheria, la maggioranza di Viktor Orbàn non ha ancora fissato una data per il voto con il Recovery che galleggia tra commissioni ministeriali e del parlamento. In Austria servono i due terzi delle Camere e l’ok era atteso per gennaio, ma alcuni media parlano di una ratifica del governo entro aprile e un via libera parlamentare entro metà maggio. Anche in Romania serve una maggioranza dei due terzi del Parlamento, che al momento il governo di centrodestra guidato da Florin Citu non è in grado di assicurare per la defezione dell’opposizione di centrosinistra del Psd, partito già in rotta con Bruxelles e con la sua famiglia politica europea, il Pse. Anche qui seduta parlamentare cancellata: verrà convocata quando i numeri saranno certi.