Nel 2018 il mercato europeodegli strumenti derivati si è dilatato dell’11% su base annua, raggiungendo la stratosferica cifra di 735 trilioni di dollari. Un valore pari a 45 volte il Pil dell’Unione europea e alimentato in larga misura dai contratti di copertura sui tassi d’interesse delle transazioni ordinarie del mercato, dai mutui ai pacchetti obbligazionari.
“Nel complesso”, fa notare Milano Finanza citando i dati dell’Esma (l’autorità che regola i mercati finanziari Ue), “il mercato è dominato da contratti sui tassi di interesse, che pesano per il 76% del valore nozionale totale. I derivati su valute valgono il 15% del totale, quelli su azioni il 6%, quelli creditizi il 2%, quelli su commodity l’1%. Il 90% degli strumenti è over-the-counter (otc), ovvero è scambiato fuori da mercati regolamentati”.
E diversamente non potrebbe essere: il derivato, fondamentalmente, nasce come “scommessa” sull’andamento di un sottostante (titolo, azione, investimento, prestito) come copertura o potenziale amplificatore dei suoi guadagni (o in caso negativo delle sue perdite). Per questo viene scambiato, nella stragrande maggioranza dei casi, al di fuori delle piazze tradizionali. Le regolamentazioni imposte a livello di G20 dopo la Grande Recessione hanno portato al proliferare delle camere di compensazione per le transazioni transnazionali dei titoli derivati. Buona parte del clearing dei derivati denominati in euro e convertiti in altre valute è svolto dalla City di Londra.
L’approssimarsi della Brexit rende dunque importante discutere del mercato dei derivati in Unione europea. Presto sarà necessaria una clearing house sul Vecchio continente e tale ruolo potrebbe essere ricoperto dalla Borsa di Milano. Favorita dai legami proprietari con la London Stock Exchange suo controllante e, come fatto notare da Aldo Giannuli sul suo blog, preferibile a piazze come Parigi e Francoforte da parte della finanza extra-Ue: “Germania e Francia sono concorrenti dirette dell’Inghilterra (o di quel che ne resta), per cui un loro rafforzamento (soprattutto della Germania che già ospita la Bce proprio a Francoforte) non è visto di buon occhio dalla parte inglese della City che, come è ovvio, è maggioritaria”. Il risiko borsistico in atto tra Francia, Svizzera e Spagna nelle ultime settimane altro non è che il filone parallelo di preparazione all’era post-Brexit.
Nel mercato dei derivati europeo risulta in questa fase storica necessario separare il grano dal loglio: identificare attraverso le camere di compensazione e la supervisione bancaria le masse di titoli derivati potenzialmente in grado di produrre rischi sistemici. E qua il pensiero non può che andare a Deutsche Bank e alla sua instabilità colpevolmente dimenticata, a lungo, dalla sorveglianza Bce e legata, tra le altre cose, alla sua instabile posizione sui derivati. Laddove non arriva la Bce, arriva l’Esma, autorità che si è dimostrata di recente più indipendente dal condizionamento politico tedesco, capace di eguagliare il parallelo Esrb, giunto al punto di avvisare i falchi del rigore sui conti pubblici per le loro criticità…nel mercato dei debiti privati.
Regolare in partenza e capire le vulnerabilità è fondamentale per la natura onnivora e instabile del mercato dei derivati. La quantità di derivati oggi in circolazione ammonterebbe, secondo le stime, all’inimmaginabile cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro: 33 volte il valore del Pil mondiale: il collasso del mercato dei derivati costruiti sui mutui subprime negli Stati Uniti tra il 2007 e il 2008 fu l’innesco della crisi globale del decennio scorso e, mentre oltre Atlantico si accumulano i presagi di una riedizione di quella fase di instabilità, l’Europa deve restar vigile. Anche se di origine esogena, una crisi economica farebbe cadere la spada di Damocle di un mercato di derivati non regolamentati eccedente di 45 volte il Pil dell’Ue sulla già fragile economia del Vecchio continente.