Quella tra la Commissione, la Banca centrale europea e gli istituti italiani trovatisi ad affrontare, negli ultimi anni, periodi di difficoltà (banche venete, istituti toscani, Carige e via dicendo) è stata una relazione problematica. Una vicenda, quella dell’osservazione sulle banche italiane, passata per numerosi punti che rimangono ancora oscuri. Le recenti dichiarazioni di Giovanni Tria, secondo cui il suo predecessore Maurizio Saccomanni sarebbe stato letteralmente ricattato dalla Germania, nel 2013, per accettare l’introduzione del bail-in nell’ordinamento europeo, vanno di pari passo con l’ondivago atteggiamento dei governi Renzi e Gentiloni, che non sono stati in grado di far valere la propria voce nel contesto europeo mentre la Commissione e la vigilanza bancaria Ue massacravano i nostri istituti.

La vigilanza contro le banche italiane

L’ultima banca salita alla ribalta della cronaca, Carige, come le banche coinvolte nel primo bail-in, fu oggetto dei pesanti controlli sui crediti deteriorati (non-performing loans) da parte della Vigilanza della Bce guidata dalla francese Daniele Nouy, che negli ultimi anni si è distinta per un’eccessiva attenzione ai rischi connessi a questi titoli rispetto al problema ben più grave posto dai derivati che ingolfano le banche franco-tedesche. L’Italia aveva a disposizione, in teoria, il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) come strumento politico per agire in favore degli istituti deteriorati.

Quando l’Ue frenò il Fitd

Il Fitd, consorzio obbligatorio riconosciuto dalla Banca d’Italia che ha il compito principale di assicurare la liquidità a tutti i depositanti che ne facciano richiesta, per garantire il loro diritto alla piena disponibilità dei depositi, era intervenuto nel 2015 per scongiurare il fallimento di Banca Tercas, cassa di risparmio tarantina dal capitale di poco superiore ai 200 milioni di euro, e veicolarne l’unione con Popolare di Bari, prima che l’Antitrust Ue intervenisse, su mandato della Commissione che, nella figura di Margrethe Vestager, aveva accusato il nostro Paese di aver imposto una politica non autorizzata di aiuti di Stato.

La decisione Ue creò un precedente decisivo per impedire un’azione analoga da parte del Fitd nel caso, ben più ampio, della procedure di risoluzione di Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche nel biennio successivo. Tali istituti furono dapprima soggetti alla normativa del bail-in, ricoperti da un’iniezione di fondi pubblici e, infine, liquidati sul mercato privato dopo la polverizzazione del valore di azioni e obbligazioni.

Un patrimonio azionario vicino ai tre miliardi di euro fu letteralmente cancellato, migliaia di correntisti e acquirenti persero completamente i loro risparmi e quando nel frangente più acuto della crisi emerse la possibilità di proporre il meno doloroso intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, che prevedeva l’utilizzo di denaro privato (non pubblico) per un’iniezione di capitale a favore delle banche sofferenti la risposta del ministro dell’Economia Padoan fu: l’Europa è contraria. Sebbene il Fitd non rappresentasse un braccio diretto dello Stato italiano, la decisione sul caso Tercas ne paragonava l’intervento a una violazione delle regole di mercato.

La corte di giustizia riabilita il Fitd

A diversi anni di distanza la Corte di Giustizia Ue ha giudicato come erronea la decisione della Commissione, accogliendo il ricorso italiano e stabilendo che  l’intervento del Fitd non rappresentò un aiuto di Stato. “La Corte Ue”, scrive l’Huffington Post, “ha smontato per intero l’impianto della Commissione Ue nel caso Tercas, salvata dalla Popolare di Bari grazie al sostegno del Fondo. Ma il suo impatto è dirompente soprattutto per le quattro banche (Etruria, Chieti, Ferrara e Marche) mandate gambe all’aria con l’applicazione delle norme sul burden sharing in fretta e furia per evitare gli effetti ancora più nefasti dell’entrata in vigore della direttiva Ue sul bail-in (Brrd) dal gennaio successivo. […]. Escluso il Fitd, le soluzioni alternative al burden sharing erano allora state considerate da Palazzo Koch più penalizzanti per azionisti e creditori – come la liquidazione coatta – o non percorribili – come l’intervento volontario delle banche”.

Le banche fallite erano dunque salvabili in maniera molto meno onerosa tanto per i contribuenti quanto per azionisti e obbligazionisti che hanno visto andare in fumo risparmi e guadagni accumulati in una vita o in generazioni intere. Il rigore mercantilista dell’Ue, applicato in maniera estrema contro le banche italiane, si è rivelato un eccesso di zelo persino nell’attuale contesto comunitario. L’atteggiamento tenuto verso l’Italia e l’impedimento alla modesta azione del Fitd in Tercas, che ha causato una slavina di così ampia portata per il nostro sistema, stride con l’attuale lassismo che Commissione e Vigilanza sembrano dimostrare rispetto alle acrobazie bancarie della Germania di Angela Merkel, dal caso della fusione Deutsche Bank-Commerzbank al salvataggio di Nord Ld. Ma ai doppi standard europei, purtroppo, noi italiani abbiamo dovuto da tempo abituarci.