Se gli Stati Uniti sono diventati recentemente un Paese principalmente esportatore di petrolio e gas naturale, ovvero il loro bilancio tra import ed export di idrocarburi pende ora più verso l’export, lo si deve molto allo sfruttamento di quelle che vengono definite risorse non convenzionali.
Prima di addentrarci nella trattazione di cosa effettivamente siano queste risorse e in che modo abbiano modificato lo stesso mercato internazionale degli idrocarburi, è bene però fare delle precisazioni. Innanzitutto petrolio e gas non formano laghi, o sacche, all’interno della superficie terrestre, bensì impregnano i sedimenti, le rocce, come l’acqua impregna una spugna: gli idrocarburi infatti sono intrappolati nelle microporosità della roccia serbatoio che possono essere comunicanti oppure no. Una riserva convenzionale è quella che può essere sfruttata normalmente a condizioni economiche redditizie che implica quindi la produzione della risorsa senza l’utilizzo di trattamenti e tecnologie particolari; una riserva non convenzionale non produce volumi economicamente redditizi di risorsa senza l’ausilio di massicci trattamenti di “stimolazione” e senza l’impiego di particolari processi di estrazione e trattamento.
Il fattore principale che discrimina se ci troviamo davanti ad una o a un’altra risorsa è principalmente di ordine geologico: porosità della roccia, viscosità e saturazione del fluido in essa contenuto, pressione capillare sono dei parametri che il geologo considera per capire quale sia l’effettivo potenziale di sfruttamento di un reservoir di idrocarburi e che permettono di stabilire se la risorsa sia convenzionale o meno.
Le risorse non convenzionali prendono il nome dalle rocce che le contengono o da alcune caratteristiche delle stesse e sono: i gas shales (argille a gas), gli shale oil (argille o sabbie bituminose), i tight gas e oil, le formazioni Cbm (Coal Bed Methane), gli idrati di gas, e più in generale tutti i reservoir posti a grande profondità nei mari o nell’Artico che richiedono notevoli sforzi ingegneristici per raggiungerli.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti la loro rivoluzione del settore petrolifero, che ha virato verso le risorse non convenzionali (nella fattispecie gas/oil shales e tight gas/oil) è cominciata negli anni ’90 ma l’impulso maggiore si è avuto a partire dal 2005 e non si è mai fermato nonostante l’andamento altalenante dei prezzi del petrolio.
Per capire meglio come la produzione di queste risorse sia strettamente dipendente dal prezzo di mercato degli idrocarburi è opportuno ora guardare cosa effettivamente siano in dettaglio.
I gas shales sono delle formazioni rocciose in cui il gas naturale è intrappolato nelle microporosità della roccia; microporosità che, a differenza delle altre rocce serbatoio convenzionali, non sono tra di loro comunicanti a causa del grado di diagenesi che hanno subito, e quindi non permettono lo scorrere del fluido, condizione necessaria affinché si possa sfruttare un qualsiasi tipo di giacimento. Vengono estratti tramite un processo in pozzo che prende il nome di fracking.
Questa tecnica, non nuova nella ricerca petrolifera essendo usata sin dagli anni ’50 del secolo scorso per rendere più permeabile la roccia serbatoio di pozzi convenzionali, prevede l’immissione di acqua ad alta pressione unita a sostanze addensanti per aumentarne la viscosità in modo da microfratturare la roccia serbatoio per aumentarne la permeabilità e quindi la possibilità di estrarre i fluidi ad idrocarburi che essa contiene. In seguito alla microfratturazione viene introdotto nella roccia un fluido a base di acqua che contiene delle particelle accuratamente selezionate in base alla forma e grandezza atte a costituire una sorta di impalcatura di sostegno all’interno delle microfratture, sia per stabilizzarle sia per fornire un reticolo di drenaggio per i fluidi, che si chiamano in gergo proppant. A questo punto la roccia serbatoio diventa sfruttabile e inizia il “pompaggio” dell’idrocarburo presente, in questo caso il gas. Questa metodologia estrattiva ha causato, soprattutto negli Usa dove è largamente utilizzata, delle controversie dovute alla presunta pericolosità ambientale: è stato notato l’insorgere di una sismicità “indotta” che, erroneamente, è stata attribuita alla fratturazione della roccia (che ricordiamo viene microfratturata) quando invece, come riportano gli studi sin’ora effettuati, è principalmente causata dallo stoccaggio delle acque reflue reiniettate in profondità che vanno a riattivare antiche faglie.
Diversi invece sono i depositi di oil shales che sono caratterizzati dall’essere composti generalmente da argille più o meno stratificate ricche in materia organica che non ha subito un processo di maturazione tale da produrre idrocarburi come le normali rocce che li generano, chiamate in gergo geologico “rocce madri”.
Anche questi depositi possono essere sfruttati ma le tecniche, e quindi anche le problematiche di tipo ambientale, sono diverse. Essenzialmente si usano due metodologie per estrarre la risorsa dagli oil shales: quella più usata è la cavatura in miniere a cielo aperto o sotterranee della roccia per sottoporla a riscaldamento ad alta temperatura (procedimento chiamato retorting) in modo da poter estrarre il fluido che genera che verrà poi separato dalle impurità e raccolto.
Questo processo di riscaldamento può anche essere effettuato in situ tramite la perforazione della roccia e l’introduzione nei pozzi di generatori elettrici di calore che, in un arco di tempo che va dai due ai tre anni, riescono a riscaldarla ad una temperatura tale (350/400°C) da farle rilasciare il petrolio che racchiude che viene raccolto da pozzi di estrazione collocati all’interno dall’area riscaldata. Com’è facile intuire è un processo molto costoso che richiede un dispendio energetico notevole e ha un forte impatto ambientale dato dalla cavatura e dall’emissione di gas serra a causa del riscaldamento della roccia.
Tight oil e gas sono riserve intrappolate in sedimenti a bassissima o nulla porosità, come argille compatte o carbonati, che vengono sfruttate anch’esse principalmente con la tecnica del fracking. Si stima che le riserve di tight gas negli Usa siano comprese tra i 100mila e i 400mila miliardi di metri cubi.
Ovviamente per essere estratte certe risorse devono essere redditizie anche a fronte degli enormi passi da gigante fatti dall’ingegneria nel campo petrolifero, che sono paragonabili, se non addirittura superano, quelli fatti dal settore aerospaziale. Pertanto sebbene il loro prezzo sia andato abbassandosi nel corso degli anni, esiste comunque un limite quasi “fisiologico” oltre il quale non possono scendere, limite dato anche dalla produttività delle stesse, molto più concentrata nel tempo rispetto alle risorse convenzionali: un pozzo non convenzionale, ad esempio, nei primi due anni di attività produce molta più risorsa rispetto a quella di uno convenzionale, ma poi diminuisce rapidamente.
Di conseguenza, mentre un pozzo convenzionale ha un tempo di ritorno compreso tra sei e 12 anni, un pozzo non convenzionale ha un tempo di ritorno compreso tra sei mesi e quattro anni, generando un vantaggio competitivo non indifferente, ma significa anche che, esaurendosi prima, occorra perforarne molti altri a parità di estensione del campo ad idrocarburi. Affinché sia remunerativo, pertanto, il prezzo al barile dello shale oil deve restare sopra ai 40 dollari, un valore comunque sceso dai 60 di soli cinque anni fa. Diventa facile intuire quindi come l’attuale crisi del mercato petrolifero, causata dalla pandemia in corso, abbia pesantemente colpito il settore estrattivo americano, ed i cui effetti di lungo termine sul comparto saranno quantificabili solo tra qualche mese.