Dopo l’industria che segna il più grave ribasso su base mensile e annua dalla Grande Recessione, i dati sulla crescita del Pil che preparano l’ingresso della Germania in recessione e l‘annuncio del calo della fiducia degli investitori, arriva il quarto allarme per Angela Merkel: a suonarlo è il rapporto mensile della Bundesbank, la banca centrale della Repubblica federale, sulle aspettative economiche per il Paese.
La principale banca centrale nazionale del Vecchio Continente scopre le carte e avverte: il Paese è a rischio recessione. Dopo la contrazione dello 0,1% del Pil nel secondo trimestre del 2019 la Germania potrebbe conoscere un nuovo duro colpo nel terzo, in via di conclusione. La Bundesbank scopre, in un certo senso, l’acqua calda indicando nell’impreparazione di Berlino a gestire le tensioni commerciali e a garantire la sostenibilità del suo modello mercantilista. Dazi, conflitti commerciali e stagnazione della domanda interna colpiscono l’industria nazionale, avviando un ciclo recessivo che rischia di trasmettersi al resto d’Europa.
La domanda interna, in questo contesto, desta preoccupazioni proprio per l’assenza di politiche volte a stimolarla. Nonostante i consumi si mantengano a livelli non preoccupanti, scrive Milano Finanza, “il mercato del lavoro sta già mostrando segni di debolezza e anche la fiducia nel settore dei servizi sta diminuendo. Tuttavia, è probabile che il boom delle costruzioni continui, fornendo un certo sostegno”.
La Bundesbank non è sola nel prevedere una recessione, dato che anche il reparto analisi di Deutsche Bank, nonostante sia falcidiato dai previsti tagli al personale voluti dall’amministrazione del “malato d’Europa”, prevede una contrazione del Pil e una limitata espansione nel 2020. Di fronte a questi dati potrebbe cadere il tabù più inviolabile della politica tedesca: il pareggio di bilancio, regola aurea inscritta nelle istituzioni tedesche dal superfalco del rigore Wolfgang Schaeuble attraverso una legge promulgata quando ricopriva la carica di Ministro delle Finanze nel 2014.
Una mossa a cui la Merkel pensa, in particolare, per contenere l’emorragia di consensi dalla coalizione Cdu-Spd verso gli avversari politici (Verdi e Afd): “Già la scorsa settimana il settimanale tedesco, Der Spiegel, ha anticipato la notizia che il governo di Berlino sarebbe pronto ad abbandonare, almeno temporaneamente, la politica di bilancio attuale, basata sull’assenza di deficit, per stimolare l’economia in caso di recessione, cosa che stimolerebbe l’economia dell’intera unione monetaria”.
La Germania, del resto, ha avuto sempre un rapporto sui generis con le regole europee che, di fatto, ha potuto spesso interpretare come decisore di ultima istanza della loro bontà, unendosi più volte al coro dei rigoristi sul 3% nel rapporto deficit/Pil ma continuando a violare le soglie della bilancia commerciale. L’economista Sergio Cesaratto ha dato approfondita spiegazione del tema nel saggio Chi non rispetta le regole, e c’è da chiedersi cosa potrebbe cambiare se la Germania decidesse di tornare a spendere e investire. La presenza alla guida della Commissione di un falco pro-austerità tedesco come Ursula von der Leyen potrebbe iniziare proprio nella fase in cui la Merkel si troverà costretta ad allargare i cordoni della borsa. Fornendo, di conseguenza, spazi di manovra a quei Paesi che necessiterebbero di meno vigilanza sul deficit. E qui il pensiero corre subito all’Italia: la Merkel potrebbe dare un assist al prossimo governo italiano, specie se dovesse formarsi l’inedita coalizione Movimento Cinque Stelle-Partito Democratico che, non a caso, ha votato a favore della von der Leyen e guarda al Nord germanico, tanto che Luigi Di Maio ha preso le riforme del lavoro tedesche come modello per il reddito di cittadinanza. Sarebbe un esempio ulteriore della centralità di Berlino nel decidere ciò che in Europa è percepito come giusto o sbagliato.