Il piano del presidente del Consiglio di Mario Draghi per reperire gas aggiuntivo dall’estero e ridurre la dipendenza dalla Russia prima del prossimo inverno ha un problema chiamato Libia. L’Italia spera di ottenere dall’ex Jamahiriya del defunto Muammar Gheddafi, nella migliore delle ipotesi, circa 2 miliardi di metri cubi di gas aggiuntivi. Il problema è che il Paese nordafricano è nel caos. Teoricamente la Libia può esportare in Italia fino 10 miliardi di metri cubi di gas tramite il gasdotto Greenstream, il cordone ombelicale che lega la Sicilia ai giacimenti gasiferi di Eni nelle profondità del deserto libico.

Eppure nel 2021 sono arrivati appena 3,23 miliardi di metri cubi di gas libico, in calo rispetto ai 4,46 miliardi di metri cubi dell’anno precedente. Nel 2022 le cose non sembrano migliorate. I dati operativi Snam sui flussi in arrivo al punto di ingresso siciliano di Gela sono un rebus: quando va bene, arrivano 12 milioni di standard metri cubi, ma un altro giorno ne arrivano sei, poi magari dieci oppure otto. E così è impossibile fare pianificazioni, anche nel breve termine.

Obiettivo 2 miliardi

Secondo l’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Buccino, la Libia potrebbe incrementare la produzione di gas del 30% in un anno, con investimenti non superiori a 1 miliardo di dollari. “Il gas che viene estratto nella Libia occidentale verso il confine con la Tunisia, per il 65% serve ai libici e il resto va nel Greenstream”, ha dichiarato Buccino alla tavola rotonda “Focus Mediterraneo – Libia” organizzata dall’università Luiss di Roma, citato dall’Agenzia Nova. “E’ chiaro che si possono modificare queste percentuali e aiutare i libici produrre energia in modo alternativo e ridurre questo 65%”, ha aggiunto Buccino.

Secondo le stime fornite dal diplomatico italiano, la produzione complessiva di gas della Libia dovrebbe essere stata di 9,23 miliardi di euro nel 2021, a fronte di un fabbisogno interno di 6 miliardi di metri cubi. Un aumento del 30% significherebbe portare la produzione libica a 12 miliardi di metri cubi circa, ma resta il problema della domanda interna. Le autorità libiche intendono costruire tre nuove centrali a gas per risolvere, almeno in parte, i tremendi black out di energia elettrica che in estate durano fino a venti ore di fila. Le aziende italiane, Eni ma anche Ansaldo, sono in prima fila per incrementare la produzione elettrica con un mix di strumenti (a partire dalle energie da fonti rinnovabili) e liberare quote di gas aggiuntivo in Italia, ma l’instabilità politica in Libia è un ostacolo.

Allarme instabilità

Il settore degli idrocarburi è ostaggio delle due principali coalizioni politiche rivali della Libia: da una parte il Governo di unità nazionale (Gun) del premier Abdulhamid Dbeibah, riconosciuto dalla Comunità internazionale e sostenuto dalle milizie della Tripolitania; dall’altra il Governo di stabilità nazionale (Gsn) del premier designato dal Parlamento di Tobruk, Fathi Bashagha, appoggiato dall’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del genarle Khalifa Haftar. La quarta ondata di chiusure petrolifere in corso in Libia ha quasi dimezzato l’output nel Paese membro del cartello Opec.

La National Oil Corporation (Noc) libica ha dichiarato lo stato di forza maggiore (cioè l’impossibilità di consegnare i prodotti petroliferi) su due giacimenti, El Sharara ed El Feel (nel sud-ovest), e due terminali petroliferi costieri, Brega e Zueitina (nel Golfo della Sirte). Sono stati chiusi anche alcuni campi nell’area della Mezzaluna petrolifera, per uno stop della produzione di 550 mila barili al giorno che costa al Paese 60 milioni di dollari ogni 24 ore. Gli Stati Uniti hanno chiesto l’immediata riapertura dei pozzi e dei terminal di esportazione libici, proponendo un nuovo sistema per separare le entrate degli idrocarburi dalla politica. Insomma, finché la Libia non tornerà alla stabilità, l’Italia farebbe bene a guardare altrove per diversificare le forniture di gas.

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