Il Sole 24 Ore ha stimato in 3.400 miliardi di euro il totale delle risorse che l’Unione europea ha mobilitato, direttamente o indirettamente, contro la crisi economica da coronavirus. Il calcolo del quotidiano economico italiano per eccellenza mette nello stesso paniera garanzie dirette dell’Unione, manovre volte a sbloccare l’azione statale e misure annunciate.
Il totale reale è sicuramente molto inferiore perché, ad esempio, sull’annunciato Recovery Fund mancano certezze circa la natura reale delle misure e dei fondi che saranno messi in campo. Inoltre, qualsiasi stima complessiva delle risorse è sicuramente prudenziale.
Non vi è dubbio che l’Unione europea si sia trovata di fronte una sfida di portata storica. Troppo dura, per molti, perché possa reggerla sul lungo periodo: per ora i segnali sono tutt’altro che incoraggianti, non tanto perché le misure di risposta alla crisi non siano state messe in campo ma perché manca un progetto politico di reale coordinamento.
La Commissione e l’Eurogruppo hanno dato il via libera al pacchetto Sure-Mes-Bei da oltre 500 miliardi di euro in risposta alla crisi, che al suo interno comprende strumenti eterogenei come una banca strategica volta a favorire investimenti (Bei), un fondo di prevenzione della disoccupazione (Sure) e una versione ancora fumosa di una linea di credito già esistente (Mes).
Il Sole, poi, conta come aiuti mobilitati dall’Europa le risorse che gli Stati hanno potuto mettere in campo per il sostegno alle imprese, che sono di cinque tipi: “Sovvenzioni dirette fino a 800mila euro per impresa, garanzie statali sotto forma di prestiti bancari, prestiti pubblici e privati con tassi di interesse sovvenzionati, uso delle capacità di prestito dalle banche e flessibilità per consentire l’assicurazione del credito all’ esportazione a breve termine da parte dello Stato”. Non si tratta di risorse proprie dell’Unione, ma di uno spazio di manovra a cui la Commissione rinuncia per non ostacolare eccessivamente gli Stati. Come accaduto sul patto di stabilità che è stato sospeso per tutto il 2020. Con oltre 930 miliardi di euro messi in campo come disponibilità per il sostegno alle imprese, al 30 aprile, la Germania assorbiva il 55% dei 1.800 miliardi di euro da parte degli Stati a cui l’Unione ha dato semaforo verde. Risorse che sarebbe spericolato definire come concesse effettivamente da Bruxelles.
La Commissione ha fornito poi linee guida per la gestione di settori strategici per l’Europa ritenuti in crisi: pensiamo ad esempio al tema del trasporto aereo, in cui l’Unione ha dato il via libera alle compagnie per rimborsare con voucher i passeggeri di voli sospesi. Oppure al turismo, in cui si studia la creazione di corridoi per i viaggiatori: “gli Stati devono agire sulla base di tre criteri”, ovvero il quadro epidemiologico , l’applicazione “delle misure di contenimento e altre considerazioni di natura economica e sociale”.
“Corridoi” saranno aperti anche per l’agricoltura comunitaria, per favorire il movimento transcontinentale di stagionali e braccianti, e sul codice degli appalti, in cui l’Unione è pronta a concedere interventi in deroga per la ricerca di committenti e fornitori per progetti di stretta priorità.
A cambiare le carte in tavola potrebbe essere il Recovery Fund, che mobilitando il bilancio Ue permetterebbe di sfruttare apertamente le possibilità offerte da politiche coordinate e volte a offrire un reale “bazooka”: fino ad ora l’Unione ha concesso il massimo grado di libertà agli Stati e ha contribuito, soprattutto, derogando ai suoi poteri di controllo e supervisione. Casi come quelli della Bei non fanno testo perché parliamo di un’istituzione già pronta ed operativa prima della crisi: l’Europa deve riscoprirsi agente politico e andare a sostegno dei Paesi in difficoltà con concrete misure economiche e di stimolo, come sostegni al deficit, investimenti a fondo perduto, partenariati. Senza queste misure, quanto fatto finora rischia di essere percepito come una serie di misure-tampone studiate per l’emergenza di singoli settori e senza reale coordinamento.