Xi Jinping è certo: la “Nuova via della seta“, dopo la pandemia di coronavirus, ritornerà a trainare con forza la proiezione geopolitica cinese. Pechino, come il resto dell’Asia orientale, ha di fatto già smaltito gli effetti sociali ed economici più duri del contagio legato alla diffusione del Sars-Cov-2, manifestatosi per la prima volta proprio nel suo territorio metropolitano, e inizia a progettare le strategie per il lungo periodo.

Più che di una monolitica “Nuova via della seta”, si dovrebbe ora come ora parlare di più “vie della seta”. C’è la tradizionale Belt and Road Initiativefocalizzata sulla connettività infrastrutturale e geoeconomica dei grandi spazi euroasiatici. C’è la “via della seta sanitaria” nuova di zecca, consolidatasi di recente con l’avvio della partita geopolitica e diplomatica sulla commercializzazione del futuro vaccino, che vede Pechino competitiva grazie a quattro prodotti arrivati alla fase finale di sperimentazione. E trasversale corre la via della seta “tecnologica”, complementare ai nuovi corridoi infrastrutturali immaginati da Pechino e costruita con la diplomazia globale portata avanti dalla Cina per aprire la strada alle reti di ultima generazione costruite da Huawei, Zte e altri colossi nazionali.

Mentre sul piano interno il nuovo piano quinquennale prevedrà investimenti a cascata per consolidare il ruolo cinese di sfidante numero uno degli Stati Uniti per la leadership globale Pechino, complice la fase delicata vissuta dagli Usa sul piano politico, accelera sul consolidamento della Bri e dei progetti ad essa connessi. Il 18 giugno scorso, parlando a una conferenza sulla Bri, Xi ne ha voluto rilanciare quella che ritiene essere l’utilità multilaterale per i Paesi membri: “La Bri”, per il presidente cinese, “sarà un modello per proteggere la sicurezza e il benessere delle persone, un modello per ripristinare l’attività economica e sociale e un modello di crescita per sbloccare il potenziale di sviluppo” frenato dal Covid-19.

La questione fondamentale per la Cina sarà ora capire come rimodulare, adattandola al contesto di maggiore incertezza economica, una pianificazione che aveva portato all’annuncio di progetti infrastrutturali per 4mila miliardi di dollari, di cui 137,43 annunciati su 184 progetti approvati nel primo trimestre del 2020. Per molte economie la sostenibilità economica dei progetti cinesi era stata messa in dubbio da tempo (Montenegro, Sri Lanka, Pakistan sono esempi importanti), mentre altre dovranno necessariamente ridimensionare le loro prospettive. Quel che ci aspetta potrebbe essere una Bri che da un lato si focalizza maggiormente sui mercati più vicini geograficamente alla Cina e dall’altro, nella sua proiezione globale mirerà a consolidare i piani decisivi per l’interesse nazionale cinese.

Il fatto che nella Bri di domani ci sarà più Asia è testimoniato dai valori dei progetti messi allo studio da Pechino e dai Paesi partner. Come nota l’analista Simone Galli sull’Osservatorio Globalizzazione, “la Russia, anche per effetto dell’intesa strategica fra Xi e Putin, diventa un partner sempre più importante; alla fine del primo trimestre Mosca mantiene il suo posto come maggior beneficiario di Bri, con 126 progetti del valore totale di 296 miliardi di dollari”, 55 dei quali legati al mega-gasdotto Power of Siberia. “L’Arabia Saudita arriva seconda nella classifica di Pechino, con 185 miliardi di dollari in 111 progetti; terza è la Malesia con 57 progetti per un valore complessivo di 146 miliardi di dollari”. Fuori dal continente asiatico, sta crescendo l’attenzione cinese per i porti mediterranei di Algeria e Marocco, mentre in Europa la reazione della Germania e la mossa su Trieste ha dirottato su Taranto le attenzioni di Pechino.

La realtà è però perturbata dall’aumento del numero di crisi nelle aree strategiche per il passaggio della Bri (Asia Centrale, zone del Caucaso, Mediterraneo orientale) e dall’incertezza sul futuro delle catene del valore,per le quali si parla di un possibile accorciamento su scala più regionale. Di conseguenza, la Cina spinge con maggiore forza, in questa fase, sulle vie della seta “leggere”, promuovendo il suo soft power e la sua produzione di avanguardia sul fronte sanitario e tecnologico. Meno investimenti ma ritorni ugualmente importanti contraddistinguono questi due settori di intervento in cui Pechino va insinuandosi nei più disparati teatri globali: dalla fornitura di mascherine all’Italia e alla Spagna all’avanzata del 5G cinese in Europa orientale, dalle partnership sul vaccino con lo Stato brasiliano di San Paolo ai partenariati sulla ricerca coi Paesi africani il “moltiplicatore di potenza” di iniziative del genere è decisamente notevole. E non a caso è su questi campi che gli Stati Uniti stanno maggiormente puntando a contenere Pechino. Consci che siano sanità e innovazione i settori su cui la Cina è maggiormente avvantaggiata e pronta a scattare.

Ma anche per Xi presto potrà aprirsi ben più di un dilemma. Come gestire una crescente riduzione delle prospettive della tradizionale Belt and Road Initiative sul piano politico e come giustificare un accorciamento delle filiere di un progetto pensato a lungo come pronto a coinvolgere tutto il pianeta? Come mettere le vie della seta al servizio dell’aumento della produzione e dell’occupazione interna? Come fare sistema tra campi d’azione eterogenei e consolidare il soft power cinese? Sono tutte questioni politiche che nell’applicazione del nuovo piano quinquennale dovranno trovare una risposta politica. Quel che è certo è che la Cina guarda già al futuro, al mondo post-pandemico, potendosi permettere un raggio d’azione che i principali Paesi occidentali, oggigiorno, possono solo immaginare, presi come sono nel contenere il ritorno di fiamma della pandemia.