Nell’ambito della sessione plenaria del Forum economico internazionale di San Pietroburgo, il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che è necessario “ripensare il ruolo del dollaro, che è diventato uno strumento di pressione da parte dei suoi emittenti in tutto il mondo”. Si tratta di un nuovo affondo da parte del leader del Cremlino contro lo strapotere della valuta statunitense, tra le principali manifestazioni della proiezione di potenza di Washington nel mondo.
La pressione di cui ha parlato Putin è ben presente attraverso le sanzioni americane comminate alla Russia da Washington, a cui Mosca ha reagito, tra le altre cose, procedendo a una continua “de-dollarizzazione” del suo paniere monetario. Nello scorso ottobre Mosca ha varato un piano finalizzato a sostituire gradualmente al biglietto verde un paniere costituito dal rublo, dallo yuan cinese e dall’euro per il pagamento dei suoi scambi internazionali, che riguardano principalmente materie prime energetiche, armi e derrate alimentari. Settori in cui si concentra buona parte dell’export di Mosca e in cui un’esclusione pressoché completa della Russia dall’utilizzo del dollaro avrebbe effetti di lunga durata.
A Putin non è piaciuta nemmeno la tendenza degli Stati Uniti di utilizzare il Dipartimento della Giustizia come “poliziotto del mondo” per tutti i casi di presunti utilizzi irregolari del dollaro. Il caso Huawei, ad esempio, nasce proprio per una mossa di questo tipo che la compagnia cinese avrebbe compiuto nell’ambito dei commerci con l’Iran.
Le parole di Putin arrivano a poca distanza del nuovo incontro con Xi Jinping che certifica, forse definitivamente, l’evoluzione della cooperazione russo-cinese da partenariato a alleanza strategica a tutti gli effetti, per quanto palesemente sbilanciata a favore dell’Impero di Mezzo. La Russia cerca alzare barriere di tutela della sovranità nei settori in cui il confronto con rivali ed alleati non è impari: e così come il lancio di RuNet certifica la necessità di tutelare l’indipendenza del comparto informatico e tecnologico, la transizione monetaria mira a portare Mosca al riparo da eventuali azioni ritorsive degli Usa contro la sua economia.
Non si può negare a Putin una certa caparbietà nell’applicazione della strategia, varata in sinergia con il governatore della banca centrale Elvira Nabiulina. Dopo la pubblicazione, nel maggio scorso, del report della Banca centrale russa, “la de-dollarizzazione avviata dal Cremlino assume una dimensione precisa”, scrive Il Sole 24 Ore. “E la geografia di Bank Rossii ne esce trasformata: gli attivi denominati in dollari sono più che dimezzati, passando dal 45,8% del totale al 22,7 per cento. Superati dall’euro, che ora copre assets promossi dal 21,7 al 31,7% del totale mentre la valuta cinese sale dal 2,8 al 14,2 per cento. In aumento anche le riserve auree, dal 17,2 al 18,1% del totale”. Ammontando tali riserve a circa 490 miliardi di dollari, è dunque facile calcolare come la Russia si sia liberata di riserve denominate nel biglietto verde per oltre 100 miliardi. Un cambiamento netto, che prefigura una sinergia profonda con la Cina, da costruirsi soprattutto facendo sponda sulla Nuova Via della Seta e con gli accordi di fornitura energetica. E che offrirebbe spunti anche ai Paesi europei, se solo fossero capaci di dare sostanza geopolitica al primo mercato del mondo e a una valuta come l’euro che, nonostante tutte le sue enormi contraddizioni interne, diversi Paesi ritengono un’alternativa credibile alla divisa di Washington.