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Per Vladimir Putin, stando così le cose, un proseguimento della guerra in Ucraina potrebbe non essere una notizia da accogliere negativamente. Mentre Mosca ricalibra i suoi obiettivi, abbandona il proposito di assediare Kiev, guarda al Mar Nero e a Odessa, le sanzioni occidentali che hanno martellato l’economia russa nelle prime settimane di guerra ora stagnano. Troppo pericoloso per europei e americani dare il là alla guerra economica indiscriminata con la Russia. Troppo problematico, soprattutto per i Paesi dell’Unione Europea, tagliare le esportazioni russe verso il Vecchio Continente di gas, petrolio e carbone.

In attesa di misure come il tetto ai prezzi, il rilancio degli stoccaggi e la ricerca di nuove fonti per sostituire l’importazione di materie prime energetiche, gas in testa, dalla Russia l’Europa è in prima linea nel finanziare, quotidianamente, la guerra di Putin. La minaccia di richiedere solo pagamenti in rubli per l’energia ad oggi ha avuto un solo danno collaterale di portata limitata: lo stop alle forniture energetiche dei Paesi baltici. Per il resto, al di là di giorni di elevata tensione, ordinaria amministrazione: una cedola da un miliardo di dollari al giorno è, in media, incassata dalla Russia per le forniture, le società di Stato come Rosneft e Gazprom e le maggiori banche seguono la strada tracciata dalla governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina, adulto nella stanza nella gestione dell’economia russa, reinvestono i proventi per comprare rubli e rafforzano il cambio della divisa russa.

Con la mossa dei pagamenti in rubli la trincea della Banca centrale sembrava caduta, ma all’atto pratico non è cambiato nulla: il gas continua a fluire verso ovest, i dollari e gli euro ad arrivare, il cambio della valuta russa a recuperare dopo le perdite. Inoltre, come riporta Il Fatto Quotidiano, i dati Eia (Energy Informations Administration)  mostrano come lo scorso marzo gli Stati Uniti abbiano acquistato in media 89mila barili al giorno di greggio russo a fronte di un consumo giornaliero di quasi 20 milioni di barili”. Poco rispetto ai 595mila pre-invasione, ma un dato significativo è il fatto che, mentre nelle prossime settimane entrerà in vigore il bando definitivo agli acquisti, c’è stato negli ultimi tempi un rimbalzo non indifferente (+43% in una settimana tra fine marzo e inizio aprile). “In marzo”, infatti, “gli operatori hanno registrato diversi movimenti di petroliere con greggio russo approdate negli Usa, spesso dopo aver trascorso giorni di limbo ancorate in qualche porto internazionale o al largo delle coste statunitensi in attesa di decifrare meglio cosa era permesso fare e cosa no”.

Sul Corriere della Sera, invece, Federico Fubini ha sottolineato che il prezzo degli idrocarburi rilanciato dalla guerra sta garantendo un vero e proprio tesoretto a Putin: “nel 2022 circa 100 miliardi di dollari il petrolio, 200 miliardi il gas, 40 il carbone”. A cui aggiungere 60 miliardi di dollari di materie prime strategiche varie (alluminio, ferro, rame, nickel, oro, platino) e 15 dai cereali. Un complessivo totale di 415 miliardi di dollari che da solo, tramite esportazione, genererebbero oltre un quinto del Pil russo. E soprattutto sul gas naturale appare davvero difficile per i  Paesi europei colpire questa rendita.



In quest’ottica i Paesi europei stanno lavorando sul colpire, perlomeno, petrolio e carbone. – Le nuove sanzioni in discussione in seno all’Unione europea contro la Russia “dovranno includere petrolio e carbone”, ha detto nel corso di una visita a Berlino il capo della diplomazia francese, Jean-Yves Le Drian. “Stiamo lavorando insieme, Francia e Germania, per definire quale potrebbe essere questo nuovo pacchetto che dovrà integrare petrolio e carbone russi”, ha dichiarato il ministro degli Esteri francese durante una conferenza stampa congiunta con l’omologa tedesca, Annalena Baerbock. Anche il maggior gruppo di Strasburgo all’Europarlamento, il gruppo del Partito popolare europeo (Ppe) chiede all’unanimità “un embargo immediato per carbone e petrolio“, e un embargo sul “gas non appena possibile. E chiediamo anche la concessione dello status di paese candidato senza indugio all’Ucraina. Così il presidente del Ppe, Manfred Weber, in conferenza stampa, auspicando che le stesse sanzioni imposte per la Russia vengano previste anche per la Bielorussia. “Chiediamo anche l’istituzione di un processo per quanto riguarda i crimini di guerra commessi dalla Russia in Ucraina, ad esempio a Bucha, e poi che tutte le sanzioni siano in vigore fino a quando l’ultimo soldato russo non se ne andrà dall’Ucraina” ha aggiunto Weber, specificando che “non possiamo permettere una vittoria neanche al 50% di Putin, abbiamo bisogno di un successo per i nostri amici ucraini”.

Propositi, questi fatti propri anche dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ha proposto di inserire il petrolio nel prossimo pacchetto anti-russo. Secondo Fubini la strategia ottimale passerebbe per l’imposizione di un dazio punitivo del 10% alle importazioni di petrolio russo, per impedire a Rosneft di guadagnare sul rincaro del greggio e rendere relativamente sconveniente per gli operatori europei che si muovono sui mercati di acquistare, giorno dopo giorno, petrolio venduto da Mosca. Un’altra strategia passerebbe per il vincolare la vendita di petrolio al ritiro o al cessate il fuoco in Ucraina, come accaduto con l’Iran durante le negoziazioni subordinate agli accordi sul nucleare.

Sul carbone, invece, von der Leyen ha parlato nella giornata del 5 aprile di sanzioni precise volte a erodere l’export russo. “Imporremo un divieto di importazione di carbone dalla Russia, del valore di 4 miliardi di euro all’anno. Ciò taglierà un’altra importante fonte di entrate per la Russia”, ha sottolineato l’ex ministro della Difesa della Germania, dichiarando di voler colpire fino a 10 miliardi di export russo con i nuovi pacchetti di sanzioni. Poca cosa, intermini relativi sul totale citato da Fubini, ma comunque un passo in più. Per sostituire il carbone, in particolare, si potrebbe pensare a incentivare le importazioni da un Paese alleato come l’Australia, che ha difeso le sue miniere anche all’ultima conferenza mondiale sul clima Cop26. La percezione occidentale di star finanziando la guerra di Putin con la dipendenza energetica è chiara. Quella di dover porre rimedio a tale situazione per non depotenziare le sanzioni molto meno. Non a caso, alcuni governi come quello tedesco sono molto tiepidi. E tiepidità dopo tiepidità, il prezzo delle materie prime resta alto e Mosca continua a incassare. Rendendo per ora buca la rete delle sanzioni.

 

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