Da Cipro Christine Lagarde lancia il suo personale whatever it takes per posizionare la Banca centrale europea nel quadro della fase aperta dalla guerra russo-ucraina. “Nel contesto del conflitto in corso, adotteremo tutte le azioni necessarie per perseguire la stabilità dei prezzi e salvaguardare la stabilità finanziaria”, ha dichiarato la presidente della Bce intervenendo a un evento organizzato dalla Banca centrale di Cipro nella giornata del 30 marzo. L’ex governatrice del Fondo Monetario Internazionale ha avvertito: l’Europa “sta entrando in una fase difficile. Ci troveremo di fronte, nel breve termine, a un’inflazione più alta e a una crescita più lenta”. L’incubo stagflazione, mezzo secolo dopo, è concreto. “C’è una notevole incertezza su quanto grandi saranno questi effetti e per quanto tempo dureranno”, ha aggiunto l’economista francese. “Più a lungo durerà la guerra, maggiori saranno probabilmente i costi”.
Quando per l’Europa il gioco si fa duro la Bce è chiamata a entrare in gampo. Più inflazione e meno crescita significa meno stabilità sui mercati e nelle economie reali. Ma significa anche un rallentamento deciso delle prospettive di ripresa dell’Eurozona, che si troverà un sentiero più sconnesso di fronte nel rilancio dei suoi fondamentali. L’idea di superare di slancio la pandemia appare messa in difficoltà dalle tensioni belliche, dalla bomba dei prezzi energetici, dallo tsunami inflattivo. Standard&Poors ha recentemente tagliato del 25% le prospettive di crescita per l’Europa nel 2022: da +4,4% a +3,3% del Pil nell’anno in corso. Per S&P, al contempo, il potere d’acquisto delle famiglie si indebolirà, con un’inflazione che dovrebbe mantenersi stabilmente oltre il 5% quest’anno e rimanere sopra il 2% nel 2023. Più moderate, per ora, le previsioni europee: da +4,3% si passerebbe al +4% del Pil, secondo dati raccolti però prima dello scoppio della guerra.
Lagarde a Cipro ha dimostrato di comprendere, diversamente da quanto accaduto due anni fa a inizio pandemia, che la Bce è l’istituzione chiamata a muoversi con maggior forza ora. Aggiungendo nel suo intervento che il modo migliore con cui la politica monetaria può affrontare questo stato di incertezza è quello sottolineare i principi di opzionalità, gradualità e flessibilità ha tenuto all’Eurotower aperta ogni opzione.
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Due i dilemmi principali a cui la Bce si trova di fronte. Due strade che, in questo caso, risultano antitetiche. Proseguire col diluvio di liquidità iniziato nel 2015 con Mario Draghi (quantitative easing), confermato nel 2019 con l’Asset Purchase Program e rinforzato con il Pandemic Emergence Purchase Plan (Pepp) nel 2020, dandogli nuova strutturazione? Oppure procedere a un aumento dei tassi per colpire l’inflazione, restringendo la massa di moneta in circolazione? Ad oggi la strategia ibrida seguita non è pagante: la Bce intende uscire gradualmente da Pepp e App senza però alzare i tassi. Da qui l’opzionalità: “se le prospettive di inflazione a medio termine dovessero cambiare e se le condizioni di finanziamento diventano incoerenti con ulteriori progressi verso il nostro obiettivo del 2%, siamo pronti a rivedere il nostro programma per gli acquisti netti di attività in termini di dimensioni e/o durata”, ha dichiarato la Lagarde per la quale, secondo punto, “il gradualismo significa che ci muoveremo con attenzione e adegueremo la nostra politica man mano che riceviamo feedback sulle nostre azioni”. Sarà infine gestita con flessibilità la fase di divisione temporale tra la fine degli acquisti ed eventuali aumenti dei tassi di interesse.
L’idea è chiara: consolidare la fiducia dando sponda alle politiche comunitarie e nazionali per la ripresa. Dal 2020 ad oggi i maxi-piani di acquisti mediati dal capo economista irlandese Philip Lane hanno portato l’Eurotower a mettere 1,5 trilioni di euro in titoli e obbligazioni europee, sanando di fatto buona parte del debito pubblico generato. Ora per Paesi come l’Italia, la Francia, la Spagna che hanno visto le loro prospettive di crescita ridotte attorno o sotto al 3% nel 2022 il sentiero di uscita dai colossali debiti pandemici rischia di essere sempre più sconnesso. La Germania, al contempo, rischia di tornare all’atavica paura dell’inflazione, spettro dominante sul suo sistema economico, e potrebbe essere tentata da antistoriche manovre restrittive in campo monetario.
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La realtà, che la Lagarde sintetizza parlando di opzionalità, gradualità e flessibilità, è quella che porta alla direzione di dare tramite la politica monetaria spazio di fiducia alle politiche fiscali per promuovere dei mix di misure originali: tetti ai prezzi dei principali prodotti rincarati (materie prime ed energia), piani di investimento, manovre di discontinuità in Europa (si pensi agli Eurobond).
Dieci anni fa, col suo discorso del whatever it takes, Mario Draghi salvò l’euro dallo tsunami della speculazione senza poi far seguire, per diverso tempo, a questa dichiarazione alcuna mossa concreta: l’importante era ricordare che la Bce c’era, che da Francoforte si sarebbe vigilato sull’Europa e che si era pronti a pensare manovre di ampio respiro. Ora la Bce sta agendo sull’onda lunga della risposta alla pandemia e non ha bisogno di mettere direttamente in campo nuove mosse: basta ricordare di non essere pronta a strappi che potrebbero destabilizzare la ripresa europea e agli Stati la necessità di pensare nuove politiche economiche, avvertendo sulla complessità di un periodo in cui la crescita uscirà intaccata ma non compromessa. A patto di non far naufragare nuovamente l’Europa nelle contraddizioni e nel vecchio dibattito tra “falchi” e “colombe” sui temi dell’attività della Bce e del controllo dell’inflazione.