La stagione delle nominein questo complesso 2021 segnato dall’ascesa del governo Draghi, è stata governata in maniera fortemente attenta al rispetto delle prassi istituzionali da parte del premier e ha visto, come abbiamo avuto modo di sottolineare, un ridotto coinvolgimento dei partiti. La discesa in campo a fianco di Draghi del maxi-apparato del ministero dell’Economia e delle Finanze, principale azionista delle società partecipate e vero e proprio Stato nello Stato avente al suo apice il direttore generale Alessandro Rivera e il ministro dell’Economia Daniele Franco non è solo legata alla volontà del presidente del Consiglio di rimettere ordine e evitare l’assalto alla diligenza da parte dei partiti in una fase di crisi. Coerentemente con l’accelerazione sul processo di scrutinio dei candidati il Mef e Draghi intendono chiudere al più presto la partita per fare della partita delle nomine il banco di prova decisivo per la strategia di ripresa del Paese che dovrà dispiegarsi nei prossimi mesi.

Il Mef sarà il coordinatore della cabina di regia che dovrà portare avanti l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza nel quadro del Recovery Fund italiano e, assieme al ministero dello Sviluppo Economico di Giancarlo Giorgetti, fungere da “polmone” per permettere la corretta circolazione delle risorse e l’ottimale governance dei progetti. L’obiettivo è dare corpo a un progetto su cui Draghi ha puntato in forma sistemica, con l’obiettivo di coinvolgere una quota di risorse superiore a quella garantita dai fondi comunitari, che chiederanno come contropartita un’ampia gamma di condizionalità sotto forma di riforme, per valorizzare la necessità di utilizzare strategicamente la leva del deficit nazionale e della programmazione economica di lungo termine.

Dunque, le nomine in istituzioni come la Cassa Depositi e Prestiti Ferrovie dello Stato non possono essere tenute disgiunte dall’imminente afflusso di risorse che lo Stato mobiliterà per applicare i progetti di rilancio infrastrutturale, digitalizzazione, transizione ecologica. E il modus operandi di Draghi appare chiaro: responsabilizzazione dei referenti istituzionali chiamati in causa nel processo selettivo dei vertici delle partecipate, costruzione di un rapporto di stima e collaborazione tra azionista e società gestite, sviluppo di sinergie trasversali che sappiano concretizzarsi quando le partecipate saranno chiamate in campo ad applicare gli investimenti miliardari previsti dal Pnrr, decisione definitiva dopo un consulto finale con gli attori chiave.

Ferrovie dello Stato sarà indirettamente o direttamente coinvolta in progetti che per ammontare complessivo di risorse riguardano circa un settimo del Pnrr, oltre 30 miliardi di euro, quasi tre volte il suo fatturato nel 2020, mentre Cdp sarà il braccio operativo, il “fondo sovrano” e la centrale di elaborazione strategica dello Stato per rilanciare Pmi, investimenti in settori chiave, progetti di internazionalizzazione dei nostri campioni nazionali, finanziamenti ai territori valorizzando e tutelando il risparmio postale. Entrambe si uniranno a gruppi come Eni, Terna, Enel, Snam, Leonardo, WeBuild nel costituire la cinghia di trasmissione della ripartenza del sistema-Paese. Ora più che mai incardinata sulle grandi partecipate pubbliche: non a caso Draghi ha scelto l’ex direttore della ricerca di una di queste, Roberto Cingolani (proveniente da Leonardo) per guidare il ministero della Transizione Ecologica, e nelle settimane in cui si iniziava a programmare il tema delle nomine ha ricevuto a Palazzo Chigi gli Amministratori delegati di Eni (Claudio Descalzi) Enel (Francesco Starace), Snam (Marco Alverà) e Terna (Stefano Donnarumma). Mirando a creare un rapporto di fiducia trasversale che la scelta dei vertici in Fs e Cdp, la cui ultima parola spetterà al premier, dovrà completare.

Al Mef, istituzione “draghiana” per eccellenza, sarà poi destinato il compito di fare sintesi tra la governance dei programmi legati al Pnrr, la supervisione delle attività delle partecipate e il coordinamento col Mise. Che prima ancora che i ministri Franco e Giorgetti vedrà in prima linea i loro consiglieri strategici. Da un lato il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, dall’altro il superconsigliere di Giorgetti sulla politica industriale, il professor Giovanni Tria. Non a caso uomo che la carica di ministro dell’Economia l’ha ricoperta in passato (ai tempi del governo Conte I), conosce le procedure di Via XX Settembre e il peso dei grand commis e vanta un rapporto di fiducia reciproca con Rivera, difeso dagli assalti dei Cinque Stelle ai tempi dell’esecutivo gialloverde. Le nomine giuste al momento giusto possono contribuire a rafforzare una comunione d’intenti che serve al Paese per far salpare senza intoppi la barca del Recovery. Al cui timone Draghi metterà il Mef. Rodato e efficace Stato nello Stato chiamato alla prova cruciale: farsi stratega della rinascita del Paese dopo la pandemia.

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