I verbali dell’ultima riunione di politica monetaria della Banca centrale europea parlano chiaro: i tassi di interesse sono pronti ad essere ritoccati alla luce delle maggiori incertezze dell’eurozona. Alla riunione di giugno della Bce, Mario Draghi, governatore uscente, aveva già annunciato che i tassi di interesse chiave sarebbero rimasti fissi ai livelli attuali “almeno per la prima metà del 2020”. Ora però la Bce ha rafforzato quel segnale di apertura per sostenere l’espansione economica della zona euro e lo fa poco prima dell’insediamento di Christine Lagarde, non proprio considerata una “colomba” in fatto di politica monetaria. La nuova politica “dovish” della Bce sembra ormai aver posto la ex numero uno del Fondo monetario internazionale di fronte a un fatto compiuto.

Divenuta celebre per la sua fermezza nel sostenere le politiche di austerity imposte alla Grecia, salvo poi aver fatto un mea culpa nel 2016 riconoscendo gli errori di quelle misure così restrittive, la Lagarde potrebbe infatti ritrovarsi a gestire una politica monetaria già disegnata e avviata da altri.

I tassi di interesse su operazioni di rifinanziamento, rifinanziamento marginale e su deposito saranno infatti mantenuti ai minimi storici dai livelli post-crisi, rispettivamente allo 0,00%, 0,25% e meno 0,40%, fino alla metà del prossimo anno.

D’altronde non sembrava esserci altra scelta. I “minutes” della Bce pubblicati giovedì hanno mostrato come i rapporti commerciali degli Usa con la Cina e il Messico si siano “progressivamente deteriorati”, intaccando i mercati azionari globali. I rischi per l’ambiente esterno sono stati “generalmente visti in aumento”, principalmente legati al clima dei rapporti Usa-Cina e alla persistente incertezza sulla Brexit.

Il consiglio ha osservato che mentre la crescita del prodotto interno lordo dell’area dell’euro è rimbalzata “inaspettatamente” nel primo trimestre del 2019, gli indicatori dell’indagine rivelano una crescita molto più debole. Perfino la Germania, considerata l’economia trainante della zona euro, si è vista tagliare le stime di crescita per l’anno corrente da parte della Commissione europea, con il vicepresidente Valdis Dombrovskis che ha avvertito: “Insieme all’Italia, la Germania sarà uno dei Paesi della zona euro che avrà i livelli di crescita più bassi nel 2019”.

Uno scenario economico incerto con previsioni di crescita riviste fortemente al ribasso per l’area euro e un tasso inflazionistico che giungerebbe all’1,6% soltanto nel 2021, secondo le previsioni della Bce, il tutto mentre i mercati azionari dell’Eurozona hanno già bruciato 500 miliardi di euro in un solo anno.

In questa situazione, se le preoccupazioni della Bce hanno lasciato intendere che la linea della futura “governatrice” dovrà essere il più aderente possibile alla visione espansiva del “whatever it takes” di Mario Draghi, suggerendo addirittura che si potrebbe ricorrere nuovamente al meccanismo del Quantitative Easing e che la decisione sui tassi potrebbe estendersi a buona parte del 2020, il margine di manovra della Lagarde si riduce notevolmente già prima dell’inizio del suo mandato.

Così fan tutti

Guardando fuori dalla zona della moneta unica, la Bce è la sola banca centrale a puntare a un riduzione dei tassi. Appena dall’altra parte della Manica, la Bank of England guidata dal canadese Carney, guarda con apprensione ad una Brexit senza accordo e al possibile contraccolpo di un’uscita dal mercato unico, preparandosi anch’essa a sostenere la crescita economica, o per lo meno a limitare i danni, attraverso un taglio dei tassi di interesse. In Asia anche la Bank of Japan sembra intenzionata a seguire una politica monetaria più accomodante e si prepara a mantenere invariati i propri tassi di interesse.

Oltreoceano, a chiedere un taglio dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve è lo stesso Donald Trump, in continuo battibecco con il governatore della banca centrale americana, Jerome Powell, più cauto di lui,  ma comunque indirizzato verso una sforbiciata dei tassi probabilmente già dal prossimo 31 luglio.

La scorsa settimana, proprio uno scontro sui tassi di interesse ha portato invece al licenziamento del governatore della Banca centrale della Turchia, Murat Cetinkaya, da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco ha posto fine al mandato del banchiere centrale in carica dal 2016, sostituendolo con il vice Murat Uysal. Sebbene il leader del partito conservatore Akp non abbia ufficialmente dato spiegazioni sulle ragioni della “cacciata”, è chiaro che le motivazioni sono da rintracciarsi dietro allo scontro sul mancato taglio dei tassi di interesse da parte della Banca centrale di Ankara, a più riprese negato dal banchiere centrale ma fortemente voluto da Erdogan per il rilancio dell’economia del Paese. Con l’allontanamento di Cetinkaya dalla Tcmb a crollare, oltre all’indipendenza della Banca centrale di Ankara, è stata però soprattutto la lira turca, che è arrivata a perdere più del 3% nei giorni scorsi sul cambio con il dollaro.

Per madame Lagarde lo spazio di manovra sembrerebbe dunque piuttosto ristretto e non resta che adeguarsi a dirigere una nuova politica monetaria espansiva, in linea con quanto tracciato dal predecessore Draghi e nella stessa direzione imboccata anche dai banchieri centrali di mezzo mondo. Per dirla con una metafora tipica del linguaggio finanziario, pare che il “falco” Lagarde dovrà, almeno per questa volta, vestire i panni della “colomba”.





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