L’effetto panico ha prevalso sulla speculazione diretta: è questo il sunto che si può trarre dalle considerazioni sulla Consob, l’autorità di vigilanza sull’operato di Piazza Affari e dei mercati italiani, sul lunedì nero in cui l’indice Ftse Mib ha subito una batosta senza precedenti nel contesto di un tracollo generalizzato dei mercati globali, dagli Usa all’Europa.

Come una slavina, la chiusura della Lombardia e di quattordici province italiane per il coronavirus e la guerra del petrolio tra Russia e Arabia Saudita hanno colpito un mercato finanziario già indebolito da settimane di alta volatilità. Non senza ragioni, nella giornata di domenica 8 marzo dalla politica italiana diverse voci (Giorgia Meloni e Matteo Renzi in particolare) avevano paventato il rischio di un attacco speculativo massiccio contro il nostro Paese alla riapertura dei mercati.

Secondo la Consob, la “vendita allo scoperto” di asset italiani, in altre parole uno scenario simile alla speculazione compiuta nel 1992 da George Soros contro la lira, non si è verificata nella giornata di lunedì 9 marzo. In particolare l’Authority guidata dall’ex ministro Paolo Savona, come scritto in un comunicato, “non ha evidenza che gli andamenti della Borsa italiana siano riflesso di attacchi speculativi, salvo che non si voglia attribuire a questo termine la reazione degli operatori alle incertezze sul futuro generate dagli effetti del coronavirus sull’economia“.

La considerazione della Consob, in altre parole, è che bloccare ora le contrattazioni avrebbe solo dilazionato un’opera già attesa da parte degli investitori e, anzi, tale opera avrebbe effetti distorsivi se non condivisa con gli altri Paesi europei, a loro volta duramente colpiti.

A questo punto, resterebbe comunque in campo l’idea di bloccare le vendite allo scoperto e la pratica dello short selling che, scrive il Corriere della Sera, “in condizioni normali serve ai mercati per riequilibrare gli eccessi. Ma che in frangenti disastrosi, come gli attacchi dell l’11 settembre 2001, può aumentare le debolezze di un’inedita emergenza. Che oggi non è terroristica, ma sanitaria. Allora, e anche nei giorni più bui della crisi del debito, la Consob mise in campo il divieto di vendita allo scoperto”.

La misura appare più che mai vitale, ora come ora, per la delicata congiuntura che il Paese si ritrova a vivere. Pienamente concentrato sulla risposta politico-economica all’emergenza coronavirus, il governo italiano sarebbe inerme e incapace di reagire se da un fronte finanziario dovesse propagarsi una manovra ostile diretta contro il cuore del sistema finanziario italiano. O dovesse, come estrema misura, partire un attacco diretto a qualcuno dei campioni nazionali quotati a Piazza Affari e duramente provati dalla congiuntura odierna. In caso di una scalata ostile a aziende come Eni (oltre il 19% di perdita nella seduta del 9 marzo)e Saipem (vicina al -20%) o a una manovra diretta a colpire le banche nel momento di indebolimento dei nostri titoli di Stato, come potrebbe il governo reagire?

La storia, del resto, insegna che nei momenti di bufera finanziaria la borsa di Milano diviene terreno d’azione per turbolente azioni speculative. Dopo la manovra guidata da Soros nel 1992, contro un’Italia gravata da offensiva di Cosa Nostra, crollo del sistema politico della Prima Repubblica, recessione economica e malcontento sociale, vi fu il duro attacco speculativo contro i titoli italiani che tra il 2011 e il 2012, anche dopo la caduta del governo Berlusconi e l’ascesa di Mario Monti a Palazzo Chigi, infiammò lo spread sopra quota 500 e portò alle stelle i rendimenti dei Btp. In entrambi i casi l’Italia ha lasciato sul terreno una quantità di risorse economiche e finanziarie incalcolabile nel tentativo di frenare la fiammata dei mercati e arginare gli effetti delle vendite allo scoperto contro i suoi mercati finanziari.

In questo caso, prevenire potrebbe essere meglio che curare: dopo il panic selling di lunedì 9 febbraio episodi di speculazione contro le azioni o i titoli del Paese non sono da escludere, e dal punto di vista della Consob sarebbe sicuramente funzionale promuovere uno stop alle vendite allo scoperto che possa aprire la strada a un’essenziale moratoria europea su una pratica oggigiorno inaccettabile.

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