Lunedì 9 marzo sembra una giornata oramai lontana, in un anno lungo e complicato come è stato il 2020, segnato dalla pandemia di coronavirus. In quella giornata, unica in cui in Italia il governo Conte provò a delimitare la “zona arancione” comprendente le aree del Paese più colpite dalla pandemia prima di estendere a tutto il territorio nazionale la zona rossa, mentre la curva dei contagi si impennava drasticamente l’economia nazionale pagava duramente dazio per l’evoluzione dell’incertezzaPiazza Affari si schiantò al suolo e altrettanto avrebbe fatto nei giorni successivi: l’effetto diretto della proclamazione del lockdown fu un’ondata di panic selling su diversi titoli, in una fase in cui oltre alla pandemia in via di esplosione pesavano sulle borse fattori destabilizzanti quali la crisi diplomatica e petrolifera tra Russia e Arabia Saudita.

Un’analoga vicenda sta avvenendo in queste ore, dopo che Francia e, in misura minore, Germania hanno dato via alla stagione dei confinamenti autunnali. I mercati  europei nella giornata del 28 ottobre, senza esclusioni, hanno pagato duramente pegno con cali tra il 2,5 e il 4% per tutti i principali indici, da Parigi a Francoforte passando per Milano. La Nazione ci ricorda i dettagli indice per indice: “Piazza Affari ha ceduto il 4,06%, scivolando sotto i 18.000 punti per la prima volta dal27 maggio, Parigi ha perso il 3,37%, Francoforte il 4,17%, Londra il 2,55% e Madrid il 2,66%”. Conseguenze gravi anche oltre Atlantico: le azioni di Wall Street “hanno aperto bruscamente al ribasso, con l’indice di riferimento statunitense S&P500 in calo del 2,9% all’inizio degli scambi” e con un -3,5% a fine seduta. La durezza del calo segnala la fine definitiva dell’illusione circa un pronto e repentino rimbalzo delle economie e un ritorno alla normalità consolidato già a inizio 2021 che aveva, assieme al decollo dei giganti tecnologici, trascinato un rally borsistico senza precedenti per la sua contrapposizione allo stato dei sistemi sanitari e delle economie reali di buona parte dei Paesi occidentali.

E non deve ingannare la tregua momentanea registrata negli indici nella giornata del 29 ottobre, in cui Milano, Londra, Parigi e Francoforte non si sono sostanzialmente mosse (tra -0,24 e +0,14%). Il dato della giornata, infatti, è stato condizionato dall’ennesimo annuncio della Banca centrale europea circa un’espansione delle sue attività anti-crisi. L’Eurotower ha confermato il piano d’acquisti Pepp da 1.350 miliardi fino al giugno 2021, ma ha mandato un segnale fin da subito sulla disponibilità a fare di più: visto che i rischi “sono chiaramente orientati al ribasso”, l’Eurotower “ricalibrerà i suoi strumenti sulla base delle proiezioni di dicembre”. Ma il trend generale che si profila per le prossime settimane è quello di una rottura del presupposto fondamentale della ripresa, quello di un pronto ritorno alla normalità dei sistemi sociali.

Le aspettative borsistiche, le strategie economiche dei governi, le politiche di lungo periodo dell’Unione Europea, le decisioni aziendali (si era assistito a un moderato rimbalzo del mercato del lavoro in Europa dopo la fine dell’estate) e, possiamo dirlo, anche lo stato d’animo delle popolazioni delle principali economie del pianeta erano caratterizzate da un grande presupposto di fondo: sarebbe stato impossibile pensare a un secondo lockdown, specialmente nell’Europa già travolta in primavera dal contagio. Il problema è che il virus si è rivelato imprevedibile e i governi hanno dimostrato scarsa capacità previsionale. Anche la Germania di Angela Merkel, che sulla prevenzione ha indubbiamente fatto un risultato migliore del resto dei big europei, ha dovuto optare, in via precauzionale, per un confinamento “leggero”, annunciando da un lato  la chiusura di ristoranti, bar e altre
attività e consentendo, dall’altro, il proseguimento della possibilità di trovarsi all’aperto, dell’attività dei negozi, dello svolgimento della Bundesliga.

Il messaggio psicologico, comunque, è fortissimo. “Un conto è chiudere per due mesi e sperare che poi tutto torni alla normalità in tempi, più o meno, brevi, un altro è immaginare uno scenario in cui l’economia europea chiude per altri due mesi e poi forse richiuderà ancora un numero imprecisato di volte nel medio termine”, si legge su Il Sussidiario, ed è proprio questo il dato di incertezza con cui le società europee e occidentali dovranno nei prossimi mesi e anni imparare a convivere. Una pandemia, del resto, non finisce con la fine dei contagi o l’ultima guarigione: finisce quando l’impatto sociale e psicologico del morbo e le sue conseguenze di lungo periodo sono state pienamente riassorbite. E tra stravolgimenti del mercato del lavoro, disuguaglianze e riassestamento del tessuto urbano metropolitano il Covid-19 ha già posto i nostri sistemi di fronte a grandi sfide. Aggiungerci un’accelerazione della volatilità finanziaria renderebbe il quadro ancora più complesso.

La crisi odierna, dunque, non è come quella di marzo. In un certo senso è peggio, perchè segnala all’economia e alla finanza la necessità di evitare i voli pindarici che hanno trainato il recupero dei listini dopo lo schianto di marzo-aprile (-40% per tutta Europa). E sarà nel breve periodo interessante vedere come reagiranno quei Paesi, come l’Italia, che hanno potuto riassorbire le ferite grazie alla sponda della Banca centrale europeaovvero uno stimolo esterno e non legato alle proprie energie economiche. L’altalena dello spread, ad esempio, ha segnalato un’impennata di quasi 15 punti, attorno a quota 140, del differenziale di rendimento tra Btp italiano e Bund tedesco, segnato però non tanto da un picco ne rendimento del decennale italiano (che è pari allo 0,75%) ma piuttosto da un calo di quello della controparte tedesca. Si stanno, in altre parole, riattivando i tipici fenomeni di fly-to-quality che contraddistinguono le fasi di acuta volatilità: e da tenere sotto controllo sarà il cosiddetto “indice della paura” Vix di Wall Street, che misura la volatilità sui mercati e nella giornata del 28 ottobre ha chiuso a +18,17% a 39,41 punti, massimi da giugno, sfondando quota 40 punti il giorno successivo.

Al tempo stesso la crisi odierna segnala la necessità di non vincolare il nostro ordinamento economico a parametri di pura derivazione finanziaria: l’umoralità delle borse ci ricorda che è l’economia reale, assieme al lavoro, il campo col cui rilancio la crisi del Covid-19 potrà essere superata. Saranno gli indicatori su Pil, occupazione, crescita salariale, consumi a far la differenza sul lungo periodo, non i volatili indici borsistici: una fase di affanno di alcune settimane può, in un questo senso, mettere sotto gli occhi di tutti una realtà talmente evidente da essere troppo spesso scordata da analisti, politici e operatori economici. E a portare le istituzioni più titubanti, compreso il nostro governo, ad agire di conseguenza per tamponare il versante più preoccupante della crisi.





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