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Nella giornata dell’1 novembre Sergio Mattarella ha reso omaggio alle vittime della pandemia di coronavirus nel piccolo comune bresciano di Castegnato, posto a pochi chilometri dal capoluogo provinciale; nei mesi scorsi il capo dello Stato aveva visitato Codognocittadina lodigiana epicentro del primo focolaio italiano di Covid-19, e il cimitero di Bergamo, da lui definita “cuore dell’Italia ferita”. Brescia, Bergamo, Lodi, Cremona (e la città emiliana di Piacenza) nella prima ondata. Milano e Monza ora: la pandemia ha travolto la Lombardia e il Nord industriale e produttivo che rappresenta il motore economico del Paese. La vicinanza di Mattarella acquisisce dunque una molteplie valenza: al cordoglio per la tragedia della pandemia e al doveroso ricordo si aggiunge il riconoscimento per la tenuta di un territorio che, messo alla prova della più dura crisi del secondo dopoguerra, ha comunque resistito con tenacia e garantito, nella stragrande maggioranza dei casi, un lavoro sicuro ai suoi abitanti, il mantenimento in attività delle filiere strategiche, il contenimento degli effetti più gravi della recessione connessa alla pandemia.

I dati per il 2020 raccolti dal centro studi di Assolombarda sottolineano che alla fine dell’anno il prodotto interno lordo italiano sarà in flessione del 9,6% e quello lombardo del 10,2%, ma con un rimbalzo di quest’ultimo del 6,9% nel 2021, rispetto al 6,2% del totale nazionale. Quello del Pil lombardo è un calo sensibile, ma non uno schianto: e dietro al contenimento dei danni e alle prospettive di ripresa per l’anno prossimo si può leggere l’impegno del tessuto imprenditoriale, lo sforzo delle autorità territoriali e la volontà di rimettersi, nelle dovute condizioni di sicurezza, al lavoro. Stesso discorso per un’altra regione estremamente flagellata dalla pandemia, il Veneto, che segna un -9% per l’anno in corso ma punta a fare un brillante +7,2% nel 2020. Dati simili, secondo le stime di Prometeia, anche per l’Emilia-Romagna.

Chi scrive è lontano anni luce dalla contrapposizione retorica tra economia privata e politiche economiche e ritiene che un solido tessuto industriale e una politica economica ben congegnata sul profilo strategico siano come due polmoni che necessitano vicendevolmente l’uno dell’altro per respirare all’unisono. Ogni dualismo governo/imprese risulta potenzialmente dannoso, ma in riferimento alla ripresa del triangolo del Nord-Est è importante segnalare come nell’esecutivo giallo-rosso ben poco si sia fatto per costruire un’agenda volta ad assicurare nuovo slancio al cuore pulsante del nostro sistema produttivo, fermato dai lockdown e dalle necessarie misure anti-pandemiche. Non si è vista la minima traccia di un disegno di politica industriale, non un piano per incentivare a lungo termine le tecnologie strategiche abilitanti utilizzate in diversi distretti del Nord, snellire gli oneri burocratici, dare via libera alla riduzione del costo del lavoro e, a livello sistemico, uscire dalla logica dell’annuncite e finire la serie delle politiche emergenziali della spesa “a pioggia” seguita finora.

“Esiste”, scrive Mauro Bottarelli su Il Sussidiario,uno spread ben peggiore e preoccupante di quello fra Btp e Bund. È lo spread fra realismo e propaganda. Il realismo di un potere che non promette ciò che non può mantenere e che, quindi, gode di una credibilità tale da permettergli di annunciare un nuovo lockdown, senza che orde di casseurs improvvisati piombi nella strade in nome dei lavoratori senza speranza”. Il flop economico del governo Conte II ha portato con sè la nascita di una crescente insicurezza, l’avvio del serpeggiante dilemma che la politica doveva evitare, e cioè la minaccia di essere posti di fronte alla scelta tra “morire di virus o morire di fame”, ancor più angosciosa per coloro che abitano nelle terre che più il virus l’hanno subito in primavera e, messe in ginocchio, hanno trovato la forza di ripartire. Mentre la vitalità dei distretti del Nord, certificati dal rimbalzo del terzo trimestre, certificava la tenuta di un “sistema nervoso produttivo ancora forte e che reagisce agli stimoli, se messo in condizione di operare. Anche e – forse, soprattutto – sotto stress, quando entrano in campo valori che vanno oltre la produttività e l’efficienza e sconfinano nell’orgoglio e nella capacità di stringere i denti, costi quel che costi”.

Soprattutto, le mosse in questione si rendono necessarie dal momento che non mostra segni di una definitiva ripresa quell’industria manifatturiera tedesca che come noto ha un grande legame con le industrie manifatturiere italianeprincipalmente quelle stanziate nella parte settentrionale del Paese, fortemente integrate nelle catene del valore dei settori trainanti del mercato tedesco (meccanica, impiantistica, automobile). E i dati sul ristagno produttivo di Berlino devono spingere a studiare misure urgenti per difendere e presidiare i vantaggi competitivi e l’innovazione, prevenire il rischio di fallimenti corporate, garantire all’industria manifatturiera del Nord, decisiva per il rilancio del Paese, l’allentamento dagli oneri fiscali e burocratici che ne possono impedire, in tempo di crisi, il galleggiamento. Una sfida su cui si gioca buona parte della partita per la reale ripresa italiana.

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