Prima l’estenuante e logorante guerra dei dazi con gli Stati Uniti, poi la mazzata finale dell’epidemia del nuovo coronavirus. L’economia della Cina, già alle prese con alcuni problemi strutturali e politici, ora deve fare i conti anche con il contraccolpo provocato dall’ultima emergenza sanitaria che ha letteralmente paralizzato il Paese.
Il Dragone conta 1,4 miliardi di individui ed è lo Stato più popoloso del mondo. Oggi questa nazione si ferma a causa del 2019-n-CoV e non sappiamo quando ripartirà a pompare renminbi a pieno regime. La sanità viene prima di tutto il resto, quindi Pechino ha disposto misure drastiche.
Ecco un breve elenco: in quarantena 56 milioni di persone – quelle che vivono nell’area dalla quale è partito il contagio – sospesi i trasporti pubblici in numerose città, controlli a tappeto in tutto il Paese, sprangati musei e attrazioni turistiche, tra cui il Museo Nazionale della capitale, la Città Proibita e alcuni tratti della Grande Muraglia. Chiuso a data da destinarsi il parco di divertimento Shanghai Disneyland e Disneytown. Il governo cinese, secondo quanto riportato da Bloomberg, ha inoltre ordinato “a tutte le agenzie di viaggio di interrompere la vendita di tour interni e internazionali”.
Il prezzo economico da pagare
È interessante chiedersi quale sarà il prezzo economico che la Cina dovrà pagare per questa pandemia. D’altronde le parole di Xi Jinping non lasciano presagire una situazione tranquilla, visto che il presidente cinese ha parlato di una “situazione grave” perché “il virus accelera”.
Come se non bastasse gli Stati Uniti sono pronti a dare il via a un’operazione per evacuare cittadini e diplomatici americani rimasti bloccati a Wuhan, epicentro dell’epidemia. Nella “città infetta” ci sono circa mille statunitensi, che torneranno a casa così come il personale del gruppo automobilistico francese Psa (circa una quarantina).
La risposta di Pechino è drastica ma necessaria: chiuse le attività, sospeso il turismo. Logico che una decisione del genere comporti effetti negativi che ricadranno su numerosi settori economici. Questo è il periodo del Capodanno cinese, una settimana in cui si celebra la festa più importante del calendario cinese e dove i tour organizzati, sia interni che provenienti dall’estero, hanno sempre subito impennate considerevoli. In un colpo solo gli hotel, le compagnie aeree e le innumerevoli botteghe cinesi, meta prediletta per gli stranieri a caccia di souvenir, perderanno ingenti entrate economiche.
Il contraccolpo economico dei Paesi esteri
Le ripercussioni economiche ricadranno anche sui Paesi esteri. Già, perché la Cina è pur sempre – come ha scritto il quotidiano Repubblica – il più grande serbatoio del turismo mondiale. Questo significa che fino a quando l’emergenza sanitaria non rientrerà, l’enorme flusso di turisti cinesi verso l’Europa e il resto del mondo sarà attenuato se non del tutto bloccato. E questo significa che settori come il lusso made in Italy o made in France potrebbero subire botte non da poco.
Tornando in Cina, alcune multinazionali hanno alzato bandiera bianca. Ha iniziato McDonald’s, annunciando la chiusura dei punti vendita nella zona rossa. Ora è il turno di Starbucks, che calerà molto presto le serrande di tutti i suoi bar. In un simile contesto apocalittico i consumi interni, cioè quelli che nei periodi più duri della guerra dei dazi erano riusciti a trainare l’economia nazionale, sono destinati a scendere. Ecco perché il rischio recessione è dietro l’angolo.