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Nella giornata del 20 marzo Gerusalemme è stata sede di un’importante riunione tra i primi ministri israeliano e greco, Benjamin Netanyahu e Alexis Tsipras, e il presidente cipriota, Nikos Anastasiades, incentrata sulla realizzazione del nuovo gasdotto EastMed. Ai colloqui ha partecipato anche il segretario di Stato degli Usa, Mike Pompeo, interessato agli sviluppi di un progetto che contribuirebbe, in prospettiva a erodere la supremazia russa nel mercato del gas diretto all’Europa.

Grande assente della riunione è stato un esponente del governo italiano: mancanza che stona con l’importanza strategica di un progetto che era stato approvato proprio a Roma nell’aprile 2017, alla presenza dell’allora Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.

EastMed cambia la geopolitica del gas?

L’infrastruttura avrà la capacità di trasportare fino a 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno e i lavori per la sua realizzazione sono affidati a un consorzio comprendente la greca Depa e la francese Edison. L’opera, tuttavia, rappresenta l’ennesima fonte di divisione interna all’esecutivo italiano. Dopo aver dovuto bere l’amaro calice della Tap, infatti, il Movimento Cinque Stelle, nella persona, soprattutto, del Ministro dell’Ambiente Costa, ha iniziato a frenare nettamente su EastMed, complice la volontà di  Luigi Di Maio di rilanciare la contrapposizione frontale con la Francia che ha interessi economici importanti coinvolti nella realizzazione del gasdotto.

La costruzione del gasdotto avrebbe certamente importanti ripercussioni geopolitiche, superiori a quelle implicite nella realizzazione della stessa Tap che il Movimento Cinque Stelle continua, erroneamente, a ritenere un doppione di EastMed. Quest’ultima opera non è, purtroppo, inserita in una strategia coerente sotto il profilo energetico o in una visione sintetica capace di massimizzare l’interesse nazionale nella partita energetica del Mediterraneo. Ove l’Italia deve puntare a realizzare un hub gasiero che coinvolga le scoperte israelo-cipriote e anche le importanti fonti di estrazione trovate da Eni nelle acque egiziane, prima fra tutti il maxigiacimento Zohr.

In questo contesto, a dire il vero, il progetto EastMed presenta numerose criticità che un governo impegnato a una reale elaborazione strategica dovrebbe lavorare per correggere a suo favore. La stessa Eni guarda di traverso la mancata centralità dell’Egitto nel progetto e, scrive Il Sole 24 Ore,“non fa mistero di preferire altre soluzioni per esportare il gas di Zohr e in prospettiva eventualmente quello cipriota. EastMed costerebbe caro – tra 5 e 7 miliardi di euro, stima Edison – e faticherebbe ad essere ripagato, a meno di sussidi, perché il gas giungerebbe in Italia con prezzi poco competitivi”.

I dubbi di Eni

Per il cane a sei zampe la soluzione naturale “sarebbe il gas liquefatto. L’Egitto stesso, appena tornato ad essere esportatore netto di gas, preme per diventare un hub, attirando anche le forniture da Israele e Cipro per trasformarle in Gnl nei due impianti che già possiede e che per anni sono rimasti inutilizzati. Quello di Damietta peraltro è partecipato dall’Eni, attraverso Uniòn Fenosa Gas (Ufg), joint venture paritaria con la spagnola Naturgy. Se vincesse la soluzione Gnl, l’Italia potrebbe acquistare con maggiore flessibilità, ma sui volumi – e soprattutto sui prezzi – saremmo costretti a competere con il resto del mondo, compresa la Cina e altri giganti asiatici assetati di gas”, aprendo inoltre il mercato europeo all’ingresso del gnl statunitense e qatariota in larga parte estratto da compagnie straniere.

L’importanza del dibattito rende ancora più dolorosa la mancata presenza di un esponente italiano al vertice tenutosi in Israele. E ci ricorda, ora più che mai, quanto dolorosa sia stata la rinuncia italiana a proseguire sulla strada della realizzazione di South Stream, il gasdotto progettato dall’incontro tra l’ultimo governo Berlusconi e la Russia di Vladimir Putin e dal sodalizio Eni-Gazprom e poi abbandonato per le rivalità geopolitiche tra Europa e Mosca.

La mancata realizzazione di un solido collegamento con la Russia impedisce, paradossalmente, di ponderare la strategia di diversificazione in maniera più elaborata. Generando uno status d’incertezza in cui le iniziative spontanee di Eni contribuiscono a mettere una pezza ma non leniscono completamente l’assenza di un coordinamento governativo.

La Germania prosegue su Nord Stream

Lo spiazzamento è ancora più grave se si pensa che, a nord, la Germania ha proseguito i suoi progetti di rilevanza strategica in materia di gas naturale. “Il Nord Stream 2 – gasdotto nel Mar Baltico con cui Mosca potrà bypassare l’Ucraina – è quasi completato nonostante l’ostilità di Ue e Usa, che addirittura minacciano sanzioni. E per completare le sue strategie energetiche la Germania ha anche avviato una riforma delle tariffe di trasporto del gas, che sposta una quota significativa di oneri sui punti di uscita delle forniture verso l’estero” e che potrebbero comportare costi aggiuntivi per  i consumatori italiani quantificabili in 500 milioni di euro complessivi sia nel 2019 che nel 2020.

In materia di energia l’improvvisazione non è una soluzione percorribile: i costi, la rilevanza e l’imponenza delle opere coinvolte e le implicazioni geopolitiche inerenti ogni strategia energetica impongono scelte di lungo periodo. E così ora l’Italia si trova costretta a dover nicchiare su EastMed per ragioni che esulano quelle che sarebbero le legittime cautele espresse dall’Eni, per mera conflittualità politica; a non poter recuperare il gap che la separa dalla Germania nella costruzione dell’hub per il gas russo; a non poter sfruttare la rendita geopolitica che la posizione nel Mediterraneo e le esplorazioni di Eni consentirebbero di conseguire. Con il rischio di dover scrivere la storia di questi nostri tempi come una lunga sequela di occasioni mancate.

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