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La vantata potenza di fuoco che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva annunciato di voler scatenare contro la crisi economica legata alla pandemia di coronavirus si è per ora dimostrata esistente solo nei bulimici annunci dell’inquilino di Palazzo Chigi.

Già ad aprile, poco dopo l’approvazione del Decreto Liquidità sui prestiti alle imprese la Banca d’Italia aveva  espresso le sue più profonde perplessità sulla misura per bocca di Paolo Angelini, capo del dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria, secondo il quale la leva finanziaria messa in campo non era sufficiente a raggiungere i 400 miliardi di euro di garanzie promessi da Conte ma, al massimo, una cifra di poco più di 25 miliardi di euro grazie all’ottima capacità di gestione del ridotto patrimonio messole a disposizione da parte di Sace. A inizio luglio Conte aveva provato a scaricare la responsabilità sui direttori di filiale delle banche: “Date credito ai commercianti”. Ma senza la certezza delle coperture per le garanzie dei prestiti oltre i 25mila euro, dei rimborsi dei prestiti garantiti automaticamente sotto tale soglia e partner sicuri oltre Sace per le filiali in tutta Italia tale impresa si è rivelata a dir poco ardua.

Il Decreto Liquidità ha richiesto alle banche di fare l’impossibile: gestire operazioni creditizie di ampio respiro e contemporaneamente valutare il merito e la solvibilità di imprese e società gravate da una crisi senza precedenti i cui titolari si sentivano, legittimamente, privi di tutele, il tutto in coordinazione con un apparato burocratico farraginoso, senza regole certe e dopo aver subito una pesante cura dimagrante proprio per la questione dello smaltimento dei crediti deteriorati. Arriviamo dunque ai più recenti dati della Banca centrale europea, che confermano quanto si sapeva da tempo: le cifre sbandierate da Conte potevano essere sdoganate, nel breve periodo, solo sulla carta.

La crescita dello stock di prestiti da marzo a luglio è stata pari, secondo i dati dell’Eurotower, a 37 miliardi per l’Italia, 43 miliardi per la Spagna (il cui Pil è il meno di due terzi di quello italiano) e ben 118 miliardi per la Francia. Dall’attivazione del Decreto Liquidità siamo a poco meno di 28 miliardi di euro, una cifra estremamente simile a quella stimata da Angelini in primavera. L’Italia arranca in questa classifica e paga l’estrema timidezza dimostrata nello sdoganamento del deficit nazionale a sostegno delle politiche anti-cicliche necessarie, tra le altre cose, per finanziare i massicci programmi di prestito alle imprese garantiti da fondi pubblici. Senza un’accelerazione in tal senso, nessuna politica strategica può consolidarsi: e nessun artificio retorico creato dal duo Conte-Casalino, nessuna indegna pressione su coloro che, in prima linea, si devono sobbarcare lo sforzo lavorativo e psicologico di confrontarsi con imprenditori e cittadini in difficoltà economica e nessun comunicato roboante può cancellare questa realtà.

Anche in termini di crescita nel mese di luglio paghiamo dazio dagli alleati europei: in l’Italia la crescita su base annua dei prestiti alle imprese al +4,7% (da un +3,9% di giugno), contro +11,8%, +7,3% e +5,6% rispettivamente di Francia, Spagna e Germania. E su questo dato bisogna innestare il tema dei ritardi nelle erogazioni, vagliati dal già citato Angelini in una audizione dell’11 giugno scorso davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. In particolare, un cono d’ombra preoccupante è quello sui prestiti non completamente garantiti, emessi a fine maggio al 10%, mentre su quelli completamente garantiti la copertura superava di poco il 60%.

La potenza di fuoco non si crea per decreto: la politica deve saper essere incisiva e osare. Conte, assieme al Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, ha accumulato una serie di ritardi sull’extra-deficit sugli investimenti, sugli stanziamenti di bilancio, sulle emissioni di Btp, sulle politiche del lavoro. Pensare che potessero essere le banche a supplire l’operato del governo senza garanzie e sicurezza è stato un errore madornale, pagato dal Paese in termini di ritardi operativi: i dati della Bce confermano che c’è bisogno di un fondamentale cambio di passo, in vista di un autunno in cui la recessione rischia di consolidarsi.

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