La giornata di venerdì 8 maggio sarà cruciale per il nostro Paese: dopo la conferma del rating da parte di Standard&Poor’s e il declassamento di Fitch, le ultime due principali agenzie di rating, Moody’s e Dbrs, si esprimeranno per decidere l’aggiornamento del loro giudizio sul nostro debito pubblico.
Sull’Italia pende la spada di Damocle del declassamento. Dbrs, la giovane e dinamica agenzia canadese che rappresenta la new entry in un settore storicamente oligopolistico, favorisce il nostro Paese attribuendogli un rating di Bbb+, ben lontano dalla soglia limite per definire un titolo spazzatura, mentre Moody’s, storicamente l’agenzia più severa con l’Italia, prezza il titolo italiano al limite del livello junk. Il suo Baa3 equivale all’ultimo stadio prima che i Btp vengano declassati sotto quello che il mercato ritiene il livello di guardia della sostenibilità.
Allo stato attuale delle cose, un declassamento di Moody’s non appare come una prospettiva realistica. La crisi del coronavirus, paradossalmente, fa da “cuscinetto”: tutta l’Europa deve dibattersi nell’incertezza e subire i guai economici e politici della risposta alla pandemia e allo tsunami industriale e finanziario in atto, e l’estrema simmetria della crisi cancella, per ora, lo spettro di un problema italiano all’interno del contesto europeo. Al tempo stesso, recentemente, la Banca centrale europea, stimolata dall’azione-tampone di Goldman Sachs e BlackRock sui Btp e dai timori della finanza francese di un default dell’Italia, ha dichiarato che acquisterà anche titoli prezzati a livello junk da una delle maggiori agenzie di rating.
“La Bce sta agendo per limitare l’azione prociclica delle agenzie di rating, e per proteggere i debiti sovrani come quello dell’Italia dai downgrade. Le aziende e le piccole e medie imprese che emettono bond high-yield – ha fatto notare al Financial Times Alberto Gallo, portfolio manager presso l’hedge fund Algebris Investments – rappresentano una grande parte dell’economia. È importante che l’aiuto non vada solo alle grandi società”. Un declassamento non metterebbe l’Italia al sicuro dalla fuga dei fondi d’investimento dalla scelta di puntare sul nostro debito pubblico, con effetti sistemici sull’economia nel suo insieme.
Preludio del declassamento potrebbe però essere un processo di conferma del rating ma con indicazione di peggioramento dell’outlook economico previsto per i prossimi mesi. Questo indicherebbe sicuramente un pericoloso trend ribassista ai mercati, già scossi nelle scorse sedute da un incremento dello spread tra Btp e Bund, impennatosi attorno quota 250 nonostante l’effetto calmiere dell’intervento dell’Eurotower.
Il pericolo principale, in caso di ribasso dell’outlook o declassamento, viene come detto dai fondi. Spiega Finanza Online: “Ci sono per esempio i fondi pensione o i fondi assicurativi, che acquistano solo bond che hanno rating buy”, escludendo per statuto ogni titolo spazzatura, indipendentemente dalla manovra della Bce. Vi sono indici e fondi che non contano il rating, positivo per noi, di Dbrs, come Markit e Bloomberg/Barclays, fondando sul rating delle tre grandi del settore il loro giudizio su un Paese. E ci sono anche i fondi passivi, come gli Etf, che replicano i vari indici, e che sono costretti a vendere quando un credito perde l’investment-grade ovvero non arriva neanche alla sufficienza nella scala dei voti delle agenzie di rating.
I fondi sono costretti a vendere perché gli indici che replicano, una volta avvenuta la bocciatura, cacceranno i debiti sovrani o corporate in questione. E su questo la Bce può fare ben poco. Lo spiraglio per un attacco speculativo contro il debito italiano non è ancora chiuso: ma in questo caso, chi potrebbe mai seguire le manovre dei fondi sapendo che l’Italia crollerebbe non da sola, ma assieme al resto di un’Europa ferita? Questa certezza di una possibile reazione a catena è forse ciò che più lascia presagire una conferma del rating