Il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire ha rilasciato un’interessante intervista a Repubblica in cui ha spiegato che a suo parere l’Italia dovrebbe, in via precauzionale, aderire alla linea di credito sanitaria del Meccanismo europeo di stabilità. “Il Mes è una garanzia supplementare, non ne abbiamo bisogno ma è comunque una garanzia che rafforza l’Italia, la Francia e la zona euro”, ha dichiarato, aggiungendo che Parigi “non ha bisogno” di attivare la stessa clausola. Le Maire, che si trova a Roma per incontrare l’omologo Roberto Gualtieri e il titolare dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli ha parlato a tutto campo delle prossime partite che si apriranno in Europa e della necessità di creare un clima di sintonia e fiducia nell’Unione.
Ci si chiede perché Le Maire ripeschi il Mes dopo che nelle ultime settimane il fondo salva-Stati sembrava, per ragioni strutturali prima ancora che politiche, esser passato in secondo piano. Ebbene, guardare con la chiave di lettura del classico dibattito “Mes sì/Mes no” alle parole del ministro transalpino significa ridurre il campo visivo della questione. La vera intenzione di Le Maire, che i movimenti nella politica comunitaria delle ultime settimane sembrano confermare, è stata quella di ammonire il governo giallorosso e chiamarlo all’azione. Da Ursula von der Leyen al nostro Paolo Gentiloni, passando per il presidente dell’Europarlamento David Sassoli, più voci hanno mostrato irritazione o scoramento per il fatto che il governo di Giuseppe Conte tergiversi sul piano per il Recovery Fund, non mostri certezze politiche per il futuro e tergiversi nella sostanziale apatia.
Le Maire ha ammonito il governo italiano sul fatto che l’Europa stia tenendo a galla l’Italia ma che Roma, a sua volta, debba dare “garanzie”: non dimentichiamo che Parigi si è spesa per consolidare il sostegno della Banca centrale europea che rappresenta il volano di rilancio per le aste dei nostri Btp evitandone il declassamento, che avrebbe messo a terra le prospettive della sua finanza stracolma di titoli italiani, e suppone di vantare un vero e proprio credito nei confronti di Roma. Credito che per alcuni analisti potrebbe aver in parte riscosso con il via libera del governo all’acquisto di Piazza Affari da parte di Euronext e con nuove manovre nella nostra finanza. Ma che ora si accompagna anche a un’ammissione di sfiducia nella capacità dell’esecutivo giallorosso, che sull’europeismo ha costruito la sua narrazione, di rilanciare attivamente il Paese.
La Francia si unisce ai Paesi che mancano di fiducia verso l’Italia e teme che l’impasse di Roma possa far naufragare anche l’architettura di mutualizzazione del debito su cui ha investito politicamente? L’ipotesi non è da escludere. Le Maire è franco laddove ricorda che garantire l’Italia significa garantire la Francia stessa. Non a caso, Parigi intende sperare in un mantenimento della stabilità economica del sistema Paese per preservare intatte le sue possibilità di creare concentrazioni industriali e finanziarie italo-francesi ed espandere la rete del suo capitalismo nazionale. Il Copasir ha recentemente puntato il faro sull’attivismo francese: Le Maire, a inizio pandemia, provò con circospezione ad accelerare la scalata francese oltralpe puntando Avio, gioiello del nostro aerospazio; la notizia più dirompente è che il governo giallorosso di Giuseppe Conte non sembra più godere della quota necessaria di fiducia per esser considerato un interlocutore parigrado dalle cancellerie europee. A tal punto da portare un ministro estero a invitare ad elaborare strategie ritenute costruttive in una visita ufficiale.
Dai piani per la sovranità digitale di Gaia-X al futuro della politica spaziale europea, dalla transizione ecologica all’aggregazione Fiat-Psa, nei dossier comuni Parigi ha una strategia e una rotta, Roma no. Il governo giallorosso sembra avere come fine la sua auto-propagazione, il suo galleggiamento, la sua sopravvivenza tra i flutti della crisi europea. Ma l’inadeguatezza del governo ora appare plastica anche ai decisori europei che in fin dei conti mai hanno fatto in modo di metterlo in difficoltà, replicando l’assurdo muro contro muro dell’era gialloverde. Un fallimento italiano sui progetti del Recovery Fund e dei progetti per la ripresa dell’Unione travolgerebbe l’architettura politica del Vecchio Continente e ridurrebbe il potere negoziale di chi, come la Francia, ha posizioni più vicine a Roma agli occhi del dominus europeo, la Germania di Angela Merkel. Il “consiglio” di Le Maire cela una sostanziale sfiducia che, assieme agli sviluppi dell’architettura di potere occidentale, potrebbe presto indebolire e deteriorare la posizione internazionale di Giuseppe Conte e dell’esecutivo.