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Il cibo, se adeguatamente utilizzato, o meglio strumentalizzato, può rivelarsi un incredibile strumento di leveraggio con il quale proiettare potere morbido. L’Italia, ad esempio, potrebbe – anzi dovrebbe – sviluppare una diplomazia culinaria, basata sull’esportazione intelligente di pizza e pasta (ma non solo), nello stesso modo in cui Thailandia e Corea del Sud promuovono da più di un decennio l’apertura di ristoranti etnici in ogni continente.

Si ricollega strettamente alla diplomazia culinaria gastronomica il tema della produzione–per–esportazione di beni alimentari pregiati, specialmente di origine agricola, dei veri e propri marchi di fabbrica il cui nome è, o potrebbe diventare, sinonimo di qualità in tutto il mondo. Le opportunità per l’Italia sarebbero innumerevoli anche in questo caso, alla luce della nomea posseduta dalle mele altoatesine o dalle arance siciliane, e gli esempi da studiare non mancano: dalle banane della Chiquita ai limoni dell’Uzbekistan.

Tashkent, un granaio naturale

L’Uzbekistan, terra di Tamerlano e cuore dell’antica Via della seta, è entrato in una fase di intensa fioritura da quando ha avuto inizio l’era Mirziyoyev. Il rapporto con il Kazakistan è stato trasformato da conflittuale a simbiotico, la competizione tra grandi potenze sta nutrendo un flusso costante di investimenti in entrata da parte di Cina, Stati Uniti, India e petromonarchie del Golfo, e i processi di integrazione eurasiatica stanno fungendo da nutritivo addizionale per il benessere dell’economia.

Nella consapevolezza che il nuovo Grande Gioco può risultare benefico soltanto se l’osservazione è di natura partecipante, la dirigenza uzbeka sta pianificando accuratamente ogni mossa, come se stesse giocando a scacchi, in maniera tale da mantenersi in una posizione di equilibrio strategico tra le grandi potenze che ambiscono all’egemonia sull’Asia centrale.

Trame internazionali a parte, la congiuntura favorevole sta venendo capitalizzata da Tashkent per investire nella crescita endogena, in particolare del settore agricolo. Invero, condizioni meteorologiche, disponibilità di terra e fertilità del suolo rendono l’Uzbekistan una nazione innatamente votata alla grandezza agroindustriale – una vocazione di cui, dati alla mano, la classe politica sembra aver preso coscienza.

I limoni uzbeki conquistano l’Eurasia

La rilevanza del cibo nell’import–export con il resto del mondo è aumentata notevolmente negli ultimi quattro anni. I beni alimentari rappresentavano soltanto l’8,2% delle esportazioni totali nel 2017, ma due anni più tardi hanno toccato e superato quota 10%. Nel 2019, l’Uzbekistan ha esportato 19 milioni e 200mila tonnellate di frutta e verdura in più di ottanta Paesi, in primis Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan e Afganistan, registrando un fenomeno curioso: l’aumento notevole della domanda in Europa, soprattutto nei Baltici, Polonia, Francia e Gran Bretagna.

Le terre uzbeke permettono la coltivazione di una vastissima gamma di prodotti – oltre 350 tipi di frutta e verdura –, ma i produttori sembrano prediligerne uno: i limoni. Nel corso del 2020, l’Uzbekistan ha guadagnato circa 8 milioni e 600mila dollari dall’esportazione di poco più di settemila tonnellate di questo frutto, metà delle quali destinate al mercato russo (3mila e 400). Tra i principali consumatori dei pregiati limoni uzbeki, la cui fama ha raggiunto anche la Corea del Sud, figurano il Kazakistan, il Kirghizistan, l’Afganistan e, sorprendentemente, l’Ucraina – quinto acquirente con 20,6 tonnellate.

In sintesi, è (anche) per mezzo della frutta, e di quelli che vengono pubblicizzati come “i limoni migliori del mondo”, che l’Uzbekistan sta assumendo un ruolo sempre maggiore nelle grandi dinamiche economiche dell’Eurasia, dall’Ucraina alla Corea del Sud, e non soltanto nelle realtà prettamente regionali e regionalistiche quali il Consiglio Turco e l’Asia centrale.

Le sfide

Un antico adagio afferma che non è tutto oro quello che luccica, e questo è vero anche nel caso dei limoni uzbeki. Durante la pandemia è aumentata in maniera significativa la domanda interna del frutto e il suo prezzo è cresciuto a causa delle difficoltà dei coltivatori di fare fronte all’improvvisa tendenza. Infatti, la logica della produzione–per–esportazione vuole che una parte cospicua dei raccolti venga destinata all’esclusivo sopperimento della domanda esterna, trascurando le esigenze dei consumatori domestici.

Nell’attesa di aumentare la capacità produttiva a mezzo di nuovi terreni adibiti alla limonicoltura, a inizio febbraio il governo kazako ha comunicato di aver avviato le pratiche per l’importazione di una serie di “prodotti ad alta domanda che non vengono coltivati” nel Paese, includendo nell’elenco – paradossalmente – anche i limoni.

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