L’unione bancaria a livello europeo continua ad avere nella Germania un severo censore. Berlino è gravata da diverse problematiche nel sistema bancario, certificate recentemente da un rapporto dell’Eba, ma politicamente detiene l’influenza necessaria a condizionare ogni manovra nel settore.

Sia il meccanismo di vigilanza unica che la procedura di risoluzione incentrata sul bail-in sono state infatti propiziate o favorite da Berlino; ora tra Commissione e Bce è aperta la discussione sul terzo pilastro, la definizione dell’assicurazione unica a livello europeo sui depositi bancari.

Su questo tema la Germania pone delle condizioni che agli altri Paesi dell’Eurozona appare difficile digerire. Più ancora che il dibattito sul Fondo Salva-Stati sono i motivi dell’opposizione tedesca a una lineare definizione di tale garanzia a dover preoccupare per la stabilità sistemica dell’Europa bancaria.

La Germania, infatti, chiede di introdurre nella procedura di assicurazione un meccanismo di limitazione all’accumulazione di quote di debiti sovrani nei bilanci delle banche del Vecchio Continente. Secondo la Germania, i differenziali di rischio tra i diversi Paesi renderebbe qualsiasi manovra di assicurazione europea un assist ai Paesi ritenuti più instabili. Tale limitazione colpirebbe duramente i Paesi mediterranei, in cui i titoli di Stato ad alto rendimento sono parte integrante dei bilanci bancari e un tipo di investimento diffuso tra la popolazione.

Prendiamo il caso dell’Italia: nel nostro Paese le banche detengono circa un quarto del debito pubblico italiano mentre altre istituzioni finanziarie, come assicurazioni e fondi, ne posseggono il 18%”. Prima dell’avvio della politica espansiva della Bce (quantitative easing), nel 2015, scrive l’Agi, “la Banca d’Italia deteneva 169,4 miliardi di titoli pubblici del nostro Paese, cifra corrispondente al 7,8% del totale del debito; la fetta di debito sottoscritta dall’istituto di Via Nazionale, nell’ambito del piano di acquisti avviato dalla Banca centrale europea, è salita a 353,7 miliardi a fine 2017 e la fetta raddoppiata al 15,45%; l’incremento è di 184,3 miliardi (+108,81%)”. E la quota della Banca d’Italia, a causa del legame con l’intero sistema, va inserito a consuntivo del sistema nazionale.

Ma anche il problema della presenza di una quota significativa di debito pubblico italiano in mano a investitori stranieri ostacola, indirettamente, la manvora di Berlino: potranno, ad esempio, le banche francesi rinunciare agli oltre 285 miliardi di euro di debito pubblico italiano da loro controllato e a “morire per la Germania”? Certamente no. La realtà è che Berlino, in questo business, svolge un ruolo secondario, tanto che, per limitarci al debito italiano, i due colossi francesi Bnp Paribas (che controlla 143,2 miliardi di Btp) e Credit Agricole (97,2 miliardi), presi singolarmente superano ampiamente il totale del debito controllato dall’intera finanza tedesca, pari a 58,7 miliardi.

Alle banche conviene accumulare titoli di Stato perchè sono considerati asset privi di rischio e non impongono modifiche ai requisiti patrimoniali degli istituti. In un recente editoriale pubblicato sul Financial Times il ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz ha rilanciato la posizione tedesca, proponendo di far venire meno la mancanza di tali requisiti patrimoniali. Come scrive Milano Finanza, “la proposta di Scholz creerebbe all’ Italia immediatamente una serie di problemi”, rendendo meno appetibili le nostre emissioni, imponendo ampie modifiche patrimoniali alle nostre banche e riducendo i margini di profitto. “Equita Sim ci avverte che le prime nove banche italiane hanno ricavato nel 2019 profitti netti da cedole sui Btp pari al 13% dell’utile netto”. Dunque 2il conto economico delle banche verrebbe falcidiato rendendo molto più complesso per gli istituti continuare a supportare il tessuto imprenditoriale a tassi contenuti”, già messo a repentaglio dalle necessità legate alla vigilanza sui crediti deteriorati.

Altro che Mes, dunque: la proposta di Scholz rischia di essere la tempesta perfetta. A queste condizioni, un’unione bancaria europea non andrebbe nell’interesse nazionale dell’Italia. Meglio affrontare i “nein” di Berlino sulla proposta di base, che non prevede le stringenti clausole di Scholz, che accelerare sulla riforma per deferenza verso un europeismo, troppo spesso, non conforme ai reali dettami strategici del Paese.

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