Da ormai due anni la Cina è coinvolta in una feroce guerra commerciale contro gli Stati Uniti. Il presidente americano Donald Trump, stanco dei vantaggi accumulati da Pechino a discapito di Washington, ha deciso di usare il pugno duro contro un avversario temibile. Sembra un secolo fa quando la Cina era appena uscita a pezzi dall’esperienza maoista e, sotto la guida di Deng Xiaoping, stava iniziando ad abbracciare le prime scaglie di libero mercato. L’Occidente pensava di aver trovato nel Dragone un bel frutto da spremere. Con la sua immensa forza lavoro e i salari irrisori dei suoi lavoratori, la Cina si presentava alle multinazionali occidentali come un vero e proprio paradiso in terra. Il problema è che nel lungo periodo l’ex Impero di Mezzo è cresciuto sempre di più, agevolato dal meccanismo perverso della globalizzazione. E così oggi è la Cina che ha iniziato a spremere l’Occidente, inondando prima i mercati del Vecchio e Nuovo mondo con prodotti a basso costo, poi facendo razzia delle migliori imprese straniere.
Una guerra commerciale Ue-Cina?
La guerra dei dazi di Trump è un tentativo di bilanciare un equilibrio ormai impazzito a favore della Cina. Attenzione però, perché oltre gli Stati Uniti anche l’Europa ha iniziato a fare i suoi conti e ha capito che il rapporto con Pechino non può andare avanti a queste condizioni. Come fa notare Asia Times, la Camera di commercio dell’Ue in Cina ha pubblicato un rapporto nel quale ha paventato l’idea di attuare misure difensive per proteggere il mercato unico europeo, a meno che il governo cinese non riformi il proprio modello statale e attui a sua volta una “neutralità competitiva”. Di questo e altro parla il paper intitolato “Attività europee in Cina”, all’interno del quale i membri sottolineano come Pechino debba effettuare “un’azione diretta per frenare il potere tentacolare delle imprese statali”. L’ostacolo più grande delle aziende europee, ma in generale di tutti gli attori stranieri che intendono fare business oltre la Muraglia, è che lo Stato cinese altera gli equilibri favorendo le State owned entreprises (Soe, cioè le imprese a conduzione statale). Pechino, sempre più spesso, alimenta le Soe con finanziamenti a pioggia e garantisce loro contratti importanti a discapito della concorrenza estera.
Cosa chiede la Camera di commercio dell’Ue alla Cina
Il rapporto si sofferma sul ruolo dell’amministrazione cinese, accusata di “infrangere gli standard di governance economica globale” e di “alimentare le tensioni con gli Stati Uniti usando una economia di proprietà statale”. Ecco poi una minaccia neanche troppo velata per il futuro, perché nel caso in cui la Cina decidesse di non applicare le riforme necessarie per garantire la concorrenza ai soggetti stranieri, il paper consiglia all’Europa di agire di conseguenza. Anzi, Bruxelles dovrebbe introdurre vere e proprie “politiche di sicurezza” per accelerare la politica di apertura cinese. Quali sono queste politiche di sicurezza? Il rafforzamento del controllo sugli investimenti esteri cinesi e, come extrema ratio, anche se nessuno lo ha nominato, non è da escludere l’eventuale imposizione di dazi. Anche perché nel 2018 le esportazioni dell’Unione Europea verso la Cina hanno toccato quota 209 miliardi di euro. Una cifra piuttosto consistente. Pechino, che ha fin qui siglato accordi e memorandum di vario tipo con 14 nazioni dell’Ue, fra cui Italia, Grecia e Portogallo, è avvisata.