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Il 2020 si è aperto con due novità estremamente interessanti sul fronte energetico e che hanno in comune il fatto di vedere l’Italia coinvolta sebbene non protagonista. Si tratta di due progetti di gasdotti appena entrati nelle loro fasi cruciali e su cui il nostro Paese potrebbe – o avrebbe potuto – giocarsi un ruolo interessante al netto di una diffusa incertezza e scarsa incisività.

Uno sguardo su EastMed

Per parlare del primo scenario bisogna spostarsi in Grecia, una fra le nazioni al centro delle discussioni sul progetto EastMed, il gasdotto che dovrebbe trasportare il gas naturale estratto nel Bacino Levantino e trasportato attraverso Cipro e la Grecia continentale. Il progetto è balzato sulle cronache nostrane anche per via dello scontro fra Grecia e Turchia, con Ankara che intende mantenere la propria influenza su quanto accade nel Mediterraneo Orientale e che preme sul progetto tramite la propria influenza sulla Repubblica Turca di Cipro Nord, in aggiunta alla propria presenza militare nella regione.

L’Italia, il suo ruolo e la ricerca di una posizione

Il progetto EastMed ci riguarda sia perché fra le compagnie che operano per il progetto c’è Edison, ma anche perché l’Italia avrebbe potuto essere la destinazione di parte di quello stesso gas estratto nel Bacino Levantino attraverso Poseidon, diramazione di Eastmed che avrebbe connesso la parte del gasdotto giunta in Grecia con la Puglia via mare.

Su Poseidon stesso il Governo Conte I ha espresso la mancanza di apertura proprio perché si tratterebbe di un’ulteriore infrastruttura energetica da far approdare nella regione dove il Tap è ormai stato presentato come un’opera necessaria ed i mal di pancia legati a questa decisione sostengono tuttora la carriera politica di esponenti del Movimento 5 Stelle come Barbara Lezzi, ex ministro per il Sud rappresentante dell’ala pugliese contraria al Tap ed ora critica di Luigi Di Maio. L’alternativa presentata da Conte era proprio un innesto al Tap così da risparmiare la creazione di un nuovo gasdotto offshore e le discussioni legate ad un nuovo sito di approdo.

L’Italia, dunque, è partita definendo EastMed come un progetto strategico sotto il Governo Renzi tramite la dichiarazione congiunta firmata dal ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ed il ministro dell’Ambiente e dell’Energia greco Giorgos Stathakis il 14 settembre 2017, per poi incartare la discussione sull’estensione di EastMed che dovrebbe rifornire proprio il nostro Paese, ovvero Poseidon. Un progetto che – va ricordato – è solo interesse nostro portare avanti visto che la Grecia verrebbe già raggiunta dal gasdotto nel proprio territorio, per cui potrà dire di aver fatto abbastanza per sé stessa.

A riprova di ciò vi è il fatto che Grecia, Cipro ed Israele ovvero i tre Paesi coinvolti nel progetto nell’area del Mediterraneo Orientale hanno continuato a lavorare ad un accordo con la benedizione dell’Ue che è arrivato il 2 gennaio di quest’anno. A far presenza per l’Italia, una lettera di supporto da parte del ministro per lo Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, firmatario di un Memorandum d’Intesa sulla cooperazione energetica con la Grecia, al suo corrispettivo greco Kostis Hatzidakis, mentre le fonti ministeriali greche contattate dai giornalisti a fine dicembre in vista della firma dell’accordo non erano in grado di affermare se l’Italia avrebbe o meno firmato.

Il Turkish Stream: chi approfitta delle nostre incertezze

Altro fronte dove le incertezze italiane si sono manifestate ed in cui potrebbero essere già visibili le conseguenze è il ruolo del Belpaese nel rilancio della nuova rotta del gas russo attraverso l’Europa meridionale, concretizzatosi nel Turkish Stream. Il lancio del gasdotto è stato programmato per l’8 gennaio di quest’anno dal ministro dell’Energia Fatih Donmez, il quale ha evidenziato sia il ruolo dell’infrastruttura per il consumo interno in Turchia sia il suo apporto alla sicurezza energetica europea. In particolare, assieme a Nord Stream 1 e 2 il Turkish Stream dovrebbero portare 110 miliardi di metri cubi di capacità totale per i due gasdotti Nordstream e 15,75 miliardi di metri cubi per il Turkish Stream 2 – la linea destinata al mercato europeo –.

Gli attuali sviluppi del Turkstream 2 vedono Paesi come la Bulgaria costruire le necessarie infrastrutture per acquisire il gas proveniente dal gasdotto russo, con il piano di far transitare il carico verso l’Ungheria e l’Austria. Quello che poteva essere un progetto che ricalcava la rotta del South Stream, progetto Eni, Gazprom, Edf, Wintershall che attraversava in due diramazioni Bulgaria, Grecia e poi Italia da una parte ed Serbia, Ungheria, Slovenia, Croazia ed Austria dall’altra sembra invece seguire le orme di Nabucco, altro progetto di gasdotto mai portato avanti che esclude la diramazione verso l’Italia concentrandoli solamente su quella che passa per la Bulgaria. Il progetto Nabucco era volto all’estrazione di gas naturale dal Mar Caspio, dunque non dipendente dai giacimenti russi, ma la connessione del Turkstream 2 con la Bulgaria proposta dal lato russo sembra ricalcarne il tracciato.

Probabilmente alla base della scelta vi è in primis il fatto che i Paesi sudorientali europei sono tendenzialmente il ventre molle del continente, maggiormente esposti a problemi economici e meno sviluppati della controparte occidentale, divenendo dunque facile bersaglio della tentazione dei denari russi.  Come scritto da Gianni Bessi per Startmag, la Bulgaria condivide legami commerciali e culturali molto antichi con l’asse russo-turco. Inoltre, il suo approccio pragmatico ha portato alla costruzione dell’Interconnettore Turchia-Bulgaria dalla capacità di 3 bcm/anno e con possibilità di arrivare fino a 5 bcm/anno. In seguito è stata costruita l’interconnessione fra Varna e il confine serbo e si progetta l’interconnessione dalla Russia attraverso il Mar Nero verso Varna, ricalcando la mappa del South Stream e creando le basi per il transito verso Romania, Serbia e Grecia. Rispetto a progetti come il South Stream, l’Italia non acquisirebbe alcun maggior peso come transit country qualora il Turkstream 2 venisse connesso esclusivamente alla Bulgaria e da lì al resto dell’Europa.

Sanzioni e reazioni

Anche sul Turkish Stream la risposta americana non si è fatta attendere ed il Senato statunitense ha approvato un documento di politica di difesa che include sanzioni contro le compagnie che operano nel Turkish Stream e Nord Stream 2, le quali vengono decise sulla base della presenza delle aziende partecipanti all’interno di un report elaborato dal Segretario di Stato Usa entro 60 giorni dall’approvazione della legge. In caso una compagnia si trovasse nel report, verrebbe bandita dagli Usa a meno che non venga acclarato che essa si stia tirando indietro dal progetto. L’impatto delle sanzioni americane sul Turkish Stream sono controverse dato che il lancio del gasdotto è già avvenuto, tuttavia gli Usa hanno fatto sapere che le sanzioni colpiranno ogni linea aggiuntiva costruita in futuro, non fermandosi dunque allo stato attuale.

La posizione italiana su questo dossier e su EastMed, come su altri scenari anche estranei al mondo dell’energia è puntualmente minata dall’incertezza dimostrata dai nostri governi, in particolare i Governi Conte I e II, nel prendere una posizione rispetto a progetti e decisioni strategiche per il Paese qualora queste si debbano scontrare con questioni elettorali locali, come nel caso pugliese. L’impressione è che la politica estera e l’interesse nazionale vengano fagocitati da questioni di partito che al massimo possono tradursi in qualche punto percentuale in più alle prossime elezioni, ma che non potranno mai vantare un impatto duraturo come quelle stesse questioni su cui non riusciamo ad essere incisivi.

La differenza fra noi e la Germania, la quale prosegue i progetti per il Nord Stream 2 con attualmente più di 2100 km di gasdotto completato e circa 300 km ancora da realizzare e non sembra voler distogliere la propria attenzione dal progetto nemmeno di fronte alle sanzioni statunitensi, è evidente. Non si tratta di sfidare apertamente Washington ribadendo i propri interessi – evidenti e sacrosanti – nel progetto di riferimento e cercare lo scontro pensando di poterne uscire vincitori. Questo scenario è difficilmente realizzabile qualora la sola Germania – o Italia – decida di intraprendere una simile sfida, motivo per cui Merkel stessa ha escluso ritorsioni contro le sanzioni statunitensi. Si tratta piuttosto di saper individuare quali progetti, quali temi, quali strategie sono fondamentali per garantire la prosperità e la centralità del proprio Paese rispetto ad alcune tendenze globali o regionali e cercare di adattare la propria strategia alle contingenze al fine di portare a termine quanto stabilito.

Che gli Stati Uniti abbiano maggiore capacità di influenza dell’Italia è evidente e nessuno può raccomandare a cuor leggero di rompere l’alleanza. Tuttavia, gli interessi italiani e statunitensi sono spesso conflittuali come lo sono quelli tedeschi e statunitensi, per cui è necessario prendere atto che alcuni scenari di confronto – o di scontro – sono e saranno necessari per la nostra sopravvivenza. Occorre dunque agire con visione d’insieme per saper individuare quegli scenari in cui certamente o quasi ci sarà una reazione da parte della Casa Bianca ed elaborare le risposte necessarie per portare avanti i propri obiettivi nonostante le minacce e le sanzioni. Naturalmente ciò non è semplice perché richiede la preparazione necessaria per poter elaborare una visione strategica nel medio e lungo termine, un fattore che oggi vediamo carente nel nostro Paese. Per questo alcuni Paesi cercano di resistere alla tempesta e navigare verso la meta mentre il nostro si condannano all’inattività, sperando che così le onde non ribaltino la nave.

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