50 miliardi di euro: tanto potrebbe costare all’Italia la partecipazione da agente passivo alla partita globale per il vaccino del coronavirus secondo quanto riportato in un’intervista a Il Messaggero da Silvio Garattini, decano dei farmacologi italiani, e fondatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri.
Parliamo di una stima massimale che Garattini giustifica ipotizzando che il vaccino potrebbe avere un costo di circa mille euro a flacone e che dunque l’esbroso di 50 miliardi di euro potrebbe essere necessario per ottenere un numero di dosi tali da coprire la stragrande maggioranza della popolazione.
“Dobbiamo stare attenti a cosa succede dal punto di vista del prezzo, tenendo conto che, tra l’altro, molti di questi che stanno sviluppando vaccini hanno già ricevuto sovvenzioni pubbliche e da fondazioni private”, spiega Garattini, rilanciando l’idea che quella per il vaccino sarà una partita non solo sanitaria ma anche economica e politica.
La marcia per la ricerca di un vaccino sul Covid-19 è in pieno svolgimento e vede coinvolte aziende e centri di ricerca in tutto il mondo. Al momento ci sono circa 35 progetti in competizione tra loro in tutto il mondo, animanti una partita che mette in ballo miliardi di dollari. Stati Uniti e Cina sono pienamente competitivi, mentre l’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha lanciato un’alleanza internazionale in cui uniranno gli sforzi le grandi piattaforme antiepidemiche mondiali (Cepi, Gavi, The Global Fund, Unitaid), dei giganti della beneficienza (Fondazione Bill and Melinda Gates, Wellcome Trust), la Banca Mondiale e diverse nazioni europee, Italia compresa, che hanno annunciato donazioni da decine di milioni di dollari. Nel contesto privato, in America è in testa la Moderna, che ha già ottenuto dalla Food and Drug Administration l’autorizzazione per procedere ai test su un campione di 600 esseri umani.
Secondo Garattini, “il vaccino dev’essere un bene comune”, e il caso del costo per l’Italia testimonia quanto questo spinga a alleanze globali per la sua scoperta ma, soprattutto, per la sua realizzazione. Moderna, non a caso, si è portata avanti accordandosi con la biotech svizzera Lonza per produrre fino a un miliardo di dosi all’anno. La licenza obbligatoria, secondo Garattini, “è una strada efficace che negli anni scorsi si è già percorsa, per esempio in India, per il Sofosbuvir, il farmaco anti epatite C, che era disponibile a prezzi eccessivi. Ci sono le modalità per ottenere i risultati, l’importante però è pensarci prima. Quando arriverà il vaccino sarà già tardi e per i governi sarà molto più difficile contrattare”, specie considerato che la conquista del vaccino darà in mano al controllore un potere politico e contrattuale senza precedenti.
Per quanto riguarda le tempistiche, Moncef Slaoui, un ex dirigente farmaceutico che la Casa Bianca ha scelto per condurre un programma di sviluppo rapido di un vaccino per il coronavirus, ha spiegato che esiste una possibilità remota di vedere il vaccino pronto entro gennaio 2021, ma in linea di principio concorda con Anthony Fauci sull’orizzonte temporale di 12-18 mesi. Il mondo ha molto tempo per creare cordate condivise per la ricerca e lo sviluppo del vaccino e per prepararsi a politiche produttive che sappiano essere inclusive e non discriminatorie. Per l’Italia investire ora significa poter potenzialmente incorporare parte della filiera al suo interno ed evitare un esborso senza precedenti per una questione di ambito sanitario.
Mille euro a vaccino rappresenterebbero un prezzo difficilmente sostenibile per molte delle famiglie italiane senza un programma adeguato di copertura da parte di un Servizio sanitario nazionale già messo negli anni in ginocchio da una rovinosa austerità e di cui nelle ultime settimane si sta scoprendo la vitale importanza. Mariana Mazzucato, economista nominata nella task force del governo italiano per la “Fase 2”, ha scritto un editoriale per il British Medical Journal in cui ha difeso l’idea che il vaccino resti sotto il controllo pubblico e non sia abbandonato alle mere logiche del profitto privato verso cittadini e Stati. “l vaccino dovrebbe essere reso disponibile a tutti e a prezzi accessibili. Evitando che le industrie farmaceutiche facciano enormi profitti appropriandosi privatamente del frutto di ricerche di base finanziate da fondi pubblici“. A dover far da guida, secondo la Mazzucato, gli Stati Uniti, Paese in cui più che in ogni altra parte del mondo il connubio tra investimento pubblico e profitto privato si fa sentire forte. Ma al contempo Washington teme il sorpasso cinese e alimenta assieme a Pechino la sfida geopolitica che si riverbera nella corsa al vaccino: per l’Italia e le sue finanze la speranza maggiore è proprio in una ricomposizione della faida politica che si sta scatenando attorno alla risposta alla pandemia.