Le azioni di Tesla sono da diverse settimane in impennata a Wall Street. L’azienda fondata da Elon Musk e specializzata nella costruzione di auto elettriche è in questa fase di gran lunga la società con la maggiore capitalizzazione del mondo automobilistico. Dopo esser scesa dai 917 dollari ad azione del 19 febbraio ai 361 del 18 marzo nel pieno della fase più dura della tempesta finanziaria dell’emergenza coronavirus Tesla ha accelerato trascinando il Nasdaq assieme agli altri titoli tecnologici. Il valore delle azioni, e assieme ad esso la capitalizzazione, si è quasi quadruplicato, crescendo rispettivamente a 1.371 dollari a titolo (a lunedì 6 luglio) e a un valore mercato di circa 254 miliardi di dollari.
Tesla sopravanza di circa il 20% il valore di mercato di Toyota, che con un fatturato dieci volte maggiore da 275 miliardi di dollari è il maggior player del mercato globale dell’auto. La corsa del gruppo è legata a un’ampia gamma di fattori.
Il volo delle azioni Tesla
In primo luogo, gli azionisti e gli investitori premiano il fatto che la quarantena abbia consolidato la leadership del gruppo nel comparto delle auto elettriche, settore che dopo la quarantena dovrà esser ripensato sotto il profilo degli investimenti, della programmazione produttiva e delle strategie di lungo termine. Come fa notare il Financial Times, infatti, durante il secondo trimestre, il più duro dell’emergenza pandemica, Tesla ha battuto l’obiettivo di consegne, inizialmente fissato a 74.130 vetture, consegnando 90.650 automobili, principalmente della classe Model 3 e Model Y.
In secondo luogo, il gruppo ha avuto la possibilità di non sperimentare un completo dissesto delle sue linee produttive. La concentrazione della produzione in poche, strategiche gigafactory ha reso meno problematica la chiusura degli impianti in California, contro cui Musk si è apertamente ribellato anche mentre i contagi nel Golden State correvano incontrollati, e nel pieno della pandemia Tesla ha beneficiato dell’elevata produttività dell’impianto di Shangai. La gigafactory cinese ha controbilanciato le chiusure americane, arrivando a una media di 4mila vetture prodotte la settimana e potrebbe giocare un ruolo decisivo nel portare Tesla al primo utile operativo della sua storia.
Inoltre, e veniamo al terzo punto, Tesla ha goduto dell’effetto traino del comparto tecnologico. Il Nasdaq è stato interessato da un’intesa fase di rally legato al decollo delle interazione telematiche, dall’esplosione di nuovi attori come Zoom, dall’impennata del valore delle azioni di Netlifx, Facebook, Apple, Microsoft e, dunque, da una concentrazione di capitali di ritorno favorita dalle politiche accomodanti dell’amministrazione Trump e della Federal Reserve. Il “quantitative easing globale” dello scorso decennio si è tramutato in sostegno anti-pandemia attraverso le leve della politica fiscale e monetaria.
Il legame tra Tesla e SpaceX
Infine, la fiducia nell’impresa di Musk è stata alimentata dal successo dell’altra creatura del 49enne magnate di origine sudafricana, SpaceX, che garantendo agli Stati Uniti il ritorno nello spazio con mezzi propri si è conquistata un posto di rilievo nell’architettura delle imprese strategiche del Paese. In altre parole, Musk è pronto a seguire personalità come Peter Thiel, Jeff Bezos e Erik Schmidt nel gotha degli imprenditori del settore tecnologico a stelle e strisce valorizzati dagli apparati americani come partner per le strategie globali della superpotenza. Un partenariato da cui i colossi tecnologici guadagnano in visibilità e appalti e in cui le strutture della Difesa e della sicurezza di Washington ottengono la certezza del loro inquadramento negli obiettivi di sicurezza nazionale, come il caso Huawei ha plasticamente dimostrato. Musk comprende le logiche della sicurezza nazionale, e come ha ricordato Alessandro Aresu nel suo saggio Le potenze del capitalismo politico, si è sempre ben guardato dalla tentazione di adeguarsi al pilota automatico del mercato. SpaceX oggi, con la corsa allo spazio tornata a accendersi, Tesla domani, per governare la transizione del mercato dell’auto, saranno importanti pilastri per la politica economica e industriale degli Stati Uniti. Il mercato segue, e non crea ex novo, queste tendenze di matrice politica.
Aspettative da soddisfare
Va dato atto a Musk di aver compreso l’ethos del capitalismo americano contemporaneo: l’enfasi del magnate di origini sudafricane sulla retorica libertaria e sull’indipendenza delle forze economiche da governi e autorità è il paravento mediatico e comunicativo più accattivante per coprire una reale profondità d’azione strategica in cui le sue creature (Tesla e SpaceX) ben gestiscono competenze private e infrastrutture pubbliche. Negli Stati Uniti e all’estero. Se SpaceX, chiaramente, si appoggia al comparto delle basi di lancio statunitensi e si affida alla vitale importanza garantita dagli apparati Usa al settore dei lanciatori, Tesla si è mossa come un pendolo sul fronte della guerra economica Cina-Usa.
Musk capisce il “capitalismo politico” e vi interagisce su entrambi i fronti: si è rivelata, col senno di poi, vincente la strategia di espansione in Cina, con la gigafactory di Shangai che ha rappresentato il più importante investimento produttivo statunitense oltre Pacifico del 2019. Una manovra segnaletica che apre alla possibilità di vedere in futuro gli impianti Tesla protagonisti delle catene del valore globali nel settore auto attraverso il presidio di entrambi i mercati, quello Usa e quello cinese, con la presenza di impianti diretti. La sfida sarà proseguire col trend iniziato attraverso il Model 3 e il Model Y e gradualmente abbassare i prezzi minimi delle vetture (oggi attorno ai 50mila dollari) per renderle accessibili al grande pubblico.
Chiaramente, per Musk e Tesla il difficile arriva ora. Il decollo della capitalizzazione implica desideri di ritorno economico da soddisfare e risultati da consolidare: la strategia industriale del gruppo necessita una razionalizzazione e un inquadramento. L’accordo con l’azienda mineraria Glencore per una fornitura strategica di cobalto è un presupposto che fa pensare a nuovi investimenti, ma è chiaro che sul medio periodo sarà il valore effettivo di vendite e dividendi a fare la differenza: e nel 2020 raggiungere il primo utile dopo le forti perdite degli anni scorsi (2,2 miliardi nel 2017, 1 miliardo nel 2018, 860 milioni nel 2019) potrà garantire il mantenimento dei livelli acquisiti finora. Tesla capitalizza attualmente un valore dieci volte più grande del suo fatturato 2019: Musk deve trasformare in crescita delle vendite e dei volumi la fiducia e il sostegno politico in via di costituzione.
Musk, istrionico come sempre, ha provato a esorcizzare la paura di un calo del genere con un’azione provocatoria: lo scorso weekend il proprietario di Tesla aveva annunciato via Twitter la messa in commercio di una linea di pantaloncini. Il termine in inglese, shorts, è un riferimento diretto agli gli “short sellers”, coloro, fa notare il Corriere della Sera, “che comprano e vendono a stretto giro le azioni di Tesla sperando in un calo repentino di prezzo e quindi in un ampio margine di guadagno. Una categoria contro cui Musk si scaglia da sempre e che ora viene presa di petto” con un’ironia sottile. Musk vuole così esorcizzare i fantasmi di un finale di 2020 problematico e consolidare nei prossimi mesi i risultati ottenuti. Sperando che l’autunno non riservi al mercato azionistico statunitense una batosta paragonabile a quella del 2008, la vera minaccia che pende come una spada di Damocle sulla dinamica azienda dell’auto elettrica.