Mario Draghi, prima di essere chiamato alla guida del governo italiano, aveva contribuito alla pubblicazione di un report ad opera del G30, il think tank di consulenza su questioni di economia monetaria e internazionale nel cui steering committee, il comitato di direzione, siede assieme a un collega banchiere, Raghuram Rajan, noto economista ed ex governatore della Reserve Bank of India. Nel paper Reviving and Restructuring the Corporate Sector post-Covid. Designing Public Policy Intervention, dedicato al sostegno alle imprese nell’era del Covid-19 e al futuro degli aiuti di Stato, Draghi e i colleghi si erano dichiarati favorevoli a una soluzione ibrida, capace di mantenere nel corso del 2021 imponenti aiuti di Stato per le attività maggiormente suscettibili di gravi perdite economiche in seguito al rischio di chiusura per i lockdown e per le aziende e i settori maggiormente in grado di riprendersi dallo choc economico.
Per i settori destinati a maggiori difficoltà economiche e strutturali dopo la pandemia, Draghi e il G30 raccomandavano invece di applicare la strategia della distruzione creatrice di Joseph Schumpeter, uno dei massimi teorici del capitalismo: fare sì che il “polmone” artificiale dell’aiuto pubblico continui l’esistenza di settori condannati all’espulsione dal mercato e a imprese decotte a prescindere dal Covid-19 rappresenterebbe, nell’ottica di Draghi, una dispersione di risorse che gli Stati non si possono permettere. La linea che l’ex governatore della Bce ha ribadito nel suo discorso programmatico al Senato è stata, in larga misura, fatta propria dalle principali istituzioni politico-finanziarie europee, l’Ecofin e l’Eurogruppo. Recentemente la Commissione Europea, alla luce del perdurare dell’emergenza, ha prorogato la possibilità di elargizione di aiuti di Stato a tutto il 2021 ampliandone anche la portata ma si prepara a una svolta più “selettiva” nella sua applicazione.
Come ha spiegato l’Huffington Post, infatti, “dopo un anno di aiuti senza distinzioni, con la massima libertà lasciata agli Stati membri sull’utilizzazione dello strumento Sure di sostegno alla disoccupazione, ora l’Ue annuncia nuove linee guida” che ampliano il loro sguardo alla prima metà del 2022 e mirano a garantire “anche le banche dai rischi di insolvenza (non performing loans, i crediti inesigibili in aumento con la crisi)” che le recenti direttive hanno notevolmente alimentato. L’Europa adotta dunque un’impronta di azione che somiglia a quella di Draghi, e che il neo-premier ha espresso al Senato: stop agli aiuti indiscriminati e non scrutinati, priorità alla tutela dei lavoratori che rischiano di essere espulsi dal mercato del lavoro che ai singoli posti di lavoro, rafforzamento degli strumenti di welfare e delle politiche attive del lavoro, incentivi garantiti alle aziende in crisi che riceveranno contributi che andranno erogati a chi davvero ha voglia di mettersi in gioco e riqualificarsi.
L’Unione Europea lavora alla nuova “bibbia” per stabilire la governance degli aiuti di Stato nel 2021 e incorporerà molte delle prescrizioni di Draghi, ma bisognerà scrutinare con attenzione l’applicazione concreta di questi principi. Il premier da tempo sostiene che nell’economia l’impatto distruttivo della pandemia sull’occupazione vada mitigato e ammortizzato rafforzando le misure sociali e rinsaldando al contempo l’edificazione della rivoluzione post-Covid con la spinta sulle nuove tecnologie e, soprattutto, l’ambiente, al centro della visione di Draghi per le politiche economiche del suo esecutivo. Prospettive per cui servirà un uso strategico di debito e deficit, un ruolo di peso dello Stato nell’attivazione dei processi decisionali, investimenti di complemento a quelli del capitale privato. Mentre sul fronte europeo bisognerà vigilare che l’appoggio della Commissione alla “distruzione creatrice” e al ricalibro degli aiuti non dia nuovamente fiato ai falchi rigoristi e alle loro intenzioni di riportare in auge, assieme alle vecchie regole, anche il sospeso Patto di Stabilità che se integralmente applicato darebbe una dura botta alle prospettive di rilancio di Paesi come l’Italia.
Secondo il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, infatti, “l’economia dell’UE dovrebbe tornare ai livelli di PIL pre-pandemia nel 2022, prima di quanto previsto in precedenza”, e questa antifona significa che nel suo pensiero ciò dovrebbe coincidere col ritorno in auge di vecchie regole e vecchie censure sul debito, l’attività degli Stati e i conti pubblici che tanto danno hanno fatto a Paesi come l’Italia negli anni scorsi. A Draghi il compito di non farsi strumentalizzare ed evitare che con l’appoggio alla sua strategia pragmatica per coniugare mercato e Stato sul fronte delle imprese l’Ue possa cadere in ostaggio di chi vuole il ritorno a un passato complesso e potenzialmente dannoso per la sua economia.