Una contrazione dell’economia cinese fino al 9% rispetto allo stesso periodo del 2019 è tutt’altro che improbabile per il primo trimestre del 2020. Lo riporta la banca d’affari statunitense Goldman Sachs in un recente report citato dall’agenzia di stampa Reuters e che dà l’idea dell’ampiezza del danno subito dalle filiere produttive dell’Impero di Mezzo a causa dell’epidemia di coronavirus.
Un’epidemia che ha costretto Pechino a oltre un mese e mezzo di serrata pressoché totale degli impianti produttivi, a una riduzione dell’output industriale, dei commerci e dei collegamenti col resto del mondo, nonchè all’isolamento totale di Wuhan, epicentro dell’epidemia ma anche fondamentale snodo strategico per il Paese.
Goldman, scrive Reuters, “ha tagliato le sue stime per lo sviluppo del Pil cinese nel primo trimestre da una preventivata crescita del 2,5% a un calo del 9% citando i dati economici estremamente deboli per gennaio e febbraio riportati dalla Cina. Ha anche abbassato le previsioni di stima del Pil da una crescita del 5,5% a una del 3% considerando l’intero anno 2020”.
Sul fronte del contrasto all’epidemia la Cina è passata dal contenimento interno all’isolamento dei casi provenienti da Paesi stranieri e alla ricerca di eventuali ricadute o contagi di ritorno nei cittadini precedentemente guariti. Ma nel frattempo il contagio si è esteso e, con esso, le minacce all’economia globale, alle reti commerciali, alla globalizzazione in cui Pechino si è inserita, pur plasmandola a suo piacimento, traendone i massimi dividendi in termini di ampliamento della propria proiezione politica ed economica.
La stessa strategia a lungo termine della “Nuova Via della Seta“ subirà notevoli contraccolpi dalla brusca frenata recessiva dell’economia globale, che il calo di Pechino non potrà a sua volta far altro che incentivare ulteriormente. Dall’integrazione ai mercati e dal libero fluire di merci e servizi Pechino traeva vantaggi non indifferenti. Ora il rischio è che, a cascata, il contagio slitti di Paese in Paese bloccando l’accesso della Cina a diversi mercati o a relazioni economiche usualmente vantaggiose.
La Cina ha già messo in campo imponenti stimoli finanziari per bloccare un potenziale avvitamento delle borse nelle fasi iniziali del contagio da Covid-19, quando ancora il virus doveva raggiungere con tutta la sua virulenza il resto dell’Eurasia. Questo è servito a frenare le ondate di panico in mercati come Shangai e Hong Kong, ma non a far ripartire con passo spedito la produzione interna. La Commissione Nazionale per la Riforma e lo Sviluppo, principale organo progettuale del Partito comunista cinese, ha recentemente annunciato che lancerà col tempismo ritenuto migliore misure economiche di stimolo. Asia Times segnala che ad ora sono stati approvati progetti di investimento per lo sviluppo di capitale fisso (trasporti, infrastrutture, impianti ad alta tecnologia) per 26,5 miliardi di dollari nel 2020.
L’obiettivo del governo di Xi Jinping, dalle prime misure, sembra andare nella direzione di far sì che la produzione prenda gradualmente piede per poi spingere sull’acceleratore quando l’apparato si sarà rinvigorito e rimesso in piedi per tornare ad operare. Secondo il portavoce della Commissione, Meng Wei, il 90% delle compagnie, escluse quelle della regione dell’Hubei, sta tornando all’opera e in alcuni poli industriali (Zhejiang, Jiangsu, Shanghai, Shandong, Guangxi e Chongqing) tutti i grandi gruppi sono già nuovamente all’opera. La Cina pagherà un conto salato all’epidemia di coronavirus, ma non è a terra: sarà però l’andamento complessivo dell’economia globale a misurare la portata della sua ripresa.