La guerra in Ucraina, con tutte le contraddizioni diplomatiche e gli imbarazzi che porta con sé, è soltanto uno dei problemi che deve affrontare la Cina. Forse – almeno nel breve periodo – non è neppure il più importante, visto che l’epicentro del conflitto è in Europa orientale e che l’intera vicenda, a lungo andare, nel caso di un allineamento propizio degli eventi, potrebbe addirittura geopoliticamente agevolare Pechino. Gli Stati Uniti trascinati in un altro Afghanistan; un attrito sempre più forte tra il blocco europeo e Washington per le differenti vedute sul modus operandi da adottare per risolvere la questione ucraina; l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale con Russia e Cina a fare da apripista: prospettive del genere fanno ben sperare la Repubblica Popolare, che nell’immediato deve tuttavia guardarsi non solo dalle insidie contenute nello stesso conflitto, ma anche da altri problemi interni.



Già, perché mentre il resto del mondo ha sostanzialmente voltato pagina e superato la pandemia di Covid-19, in Cina il virus continua ad essere d’attualità. Sia chiaro: non perché si sia sviluppata chissà quale variante mortale e mortifera – non risulta niente di simile – quanto per la politica sanitaria di “Zero Covid” che continua ad adottare il governo cinese. In più c’è da considerare anche la frenata dell’economia; di un’economia che continua a crescere ma che, inevitabilmente, deve fare i conti con il binomio formato da guerra in Ucraina e chiusure attuate per arginare la diffusione di Sars-CoV-2.

Il problema Covid

Se il conflitto ucraino rischia di sfibrare le relazioni commerciali che la Cina ha costruito con il blocco occidentale, soprattutto in seguito all’ostracismo mostrato dagli Stati Uniti nei confronti della Russia – che continua a essere considerata da Pechino un partner a tutti gli effetti – che cosa dire della situazione Covid all’interno della Repubblica Popolare? Nell’ultimo bollettino Shanghai ha registrato altri 48 decessi, con il numero giornaliero più basso di nuovi casi dal 5 aprile (13.562). Il problema è che Pechino, in base agli aggiornamenti della Commissione sanitaria nazionale, ha raggiunto il numero di 34 infezioni (31 accertate e 3 asintomatici), il più alto dal 22 aprile, tra i crescenti timori che un grave focolaio nella capitale si stia intensificando proprio in queste ore.

In ogni caso, Shanghai, in lockdown da fine marzo, ha avviato l’ennesimo ciclo di test di massa sia antigenici sia all’acido nucleico da completare per sabato, coinvolgendo tutti i suoi 26 milioni di residenti negli sforzi per contenere la variante Omicron che continua a diffondersi. A Pechino, invece, i test decisi per 20 milioni di residenti sui 23 milioni circa di popolazione totale stanno procedendo e si concluderanno il 30 aprile. In generale, l’incidenza del virus resta particolarmente elevata nella città orientale di Shanghai, che ha riportato 1606 casi sintomatici e 11.956 asintomatici. Il punto è che la politica Zero Covid inseguita e adottata dalla Cina implica rigidissime misure anche nel caso in cui ci siano pochissimi positivi e pure asintomatici.

Il problema economico

Ai problemi diplomatici-politici e sanitari, rispettivamente alimentati dal conflitto ucraino e dal Covid-19, ecco il terzo problema che mette sotto pressione Xi Jinping. Si tratta del problema economico, figlio della combinazione delle altre due ombre citate.

Le quarantene e i blocchi decisi per frenare la corsa del virus hanno sostanzialmente creato effetti indesiderati, in primis gli ingorghi di navi e container, tutti in attesa nel porto di Shanghai. Ma se le persone non possono uscire, allora significa che pure gli acquisti di beni non considerati di prima necessità sono destinati a calare. Ecco che le vendite di automobili, elettrodomestici e case (questo è da ricollegare anche al terremoto che ha coinvolto il colosso Evergrande) sono scese a livelli che iniziano a far preoccupare gli economisti.

Non siamo certo di fronte ad una debacle, visto che l’economia della Cina continuerà a crescere a cifre che, paragonate a quelle fatte registrare dai Paesi occidentali, sembrano appartenere ad un altro pianeta. In ogni caso, il tasso di crescita del primo trimestre, pari al 5,5%, rischia di calare, costringendo così Pechino a marciare a velocità ridotta.