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“Se son rose, fioriranno”: Matteo Renzi ha lasciato il recente vertice dei leader di maggioranza col presidente del Consiglio Giuseppe Conte con un’evocativa dimostrazione delle aspettative politiche del futuro dell’esecutivo: altamente precarie e legate alla necessità di vivere alla giornata. Renzi ha avuto il pregio della schiettezza, rispetto alle uscite più entusiaste di Vito Crimi e Nicola Zingaretti, che hanno parlato di “patto di legislatura” per arrivare fino al 2023. La realtà è che il quadripartito formato da Movimento cinque stelle, Partito democratico, Italia viva e Liberi e uguali, subentrato oltre un anno fa al governo gialloverde, ha avuto la possibilità di esistere e resistere fondandosi su due pilastri e due necessità: da un lato, sul breve e medio periodo, la necessità di partecipare alle nomine in società partecipate, organi istituzionali e, in prospettiva, alla scelta del prossimo presidente della Repubblica; dall’altro, dopo l’inizio dello tsunami coronavirus, la necessità di rispondere alla crisi pandemica e alle sue conseguenze politiche ed economiche.

Su quest’ultima filigrana si è inserita la questione della gestione dei venturi fondi europei che il governo sta provando a iniziare a maneggiare con scarsa dimestichezza, ritenendoli un sostituto e non un contrafforte del deficit pubblico nazionale e che vengono oggi evocati come uno dei reali collanti del governo giallorosso. Che si parli dei discussi prestiti Mes, degli strumenti legati al Recovery Fund o dei fondi Sure sulla lotta alla disoccupazione, il governo Conte II non fa mistero di ritenere prioritario trovare una sintesi per sfruttare al meglio i finanziamenti provenienti dall’Unione Europea. Ma, eccezion fatta per casi come una recente intervista di Renzi sul tema della politica industriale, si intravedono pochi spiragli per una reale messa a terra di piani volti a rilanciare le prospettive del Paese. Capaci di uscire dalla logica di un europeismo fine a sè stesso, per cui i soldi vanno usati o andranno usati in quanto provenienti dall’Ue, non per una specifica o una logica necessità operativa.

A conti fatti, “ancora sappiamo poco o nulla su come si vogliono utilizzare questi fondi”, come ha notato parlando con Il Sussidiario l’editorialista de Il Sole 24 Ore Guido Gentili, il quale ha tenuto a ribadire quanto la politica sembra non aver interiorizzato, ovvero che i finanziamenti di Next Generation Eu “non arriveranno prima del secondo quadrimestre del 2021”. Tutto questo mentre le chiusure legate alla seconda ondata della pandemia impongono nuove restrizioni all’attività economica, pongono in essere nuove tensioni sociali, fanno riaffiorare i rischi legati a povertà e disuguaglianza mentre “ancora non si vede il profilo di una politica economica che riagguanti la crescita. Tra l’altro c’è una Legge di bilancio da rivedere e una Nadef con numeri diversi da quelli indicati dalla Commissione europea” e che ha ricevuto critiche consistenti da diversi economisti schierati tanto nel campo liberale quanto a sinistra.

Navigare a vista significa poter rischiare, prima o poi, di finire contro gli scogli. E la recessione prolungata e la crisi sociale rischiano di essere i due punti su cui l’esecutivo giallorosso ha tutte le possibilità di incagliarsi perseguendo una politica tesa alla semplice sopravvivenza. Manca qualsiasi consultazione con le categorie produttive e col mondo del lavoro sugli scenari di sviluppo, manca un disegno strategico su futuro delle catene del valore, industria e innovazione, manca la consapevolezza di far ripartire dal cuore produttivo del Paese, il Nord Italia, la ripresa dell’economia. In sostanza il governo appare come i protagonisti di Aspettando Godot, incessantemente tenuto a galla dalla speranza e dall’aspettativa che sì, i fondi europei arriveranno e allora bisognerà giocare di squadra per sfruttarli. Per farne cosa, non si sà, ma questo ai giallorossi appare secondario. Tra un bonus monopattino e ristori improvvisati, se son rose fioriranno.

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