Nelle ultime settimane il governo Draghi sta aumentando la proiezione del sistema industriale italiano. L’obiettivo è di per posizionarlo nel migliore dei modi nella corsa alla produzione dei vaccini anti-Covid, in vista della quale il ministero dello Sviluppo Economico guidato da Giancarlo Giorgetti si sta coordinando con il commissario Thierry Breton e le associazioni di categoria per capire le potenzialità della filiera nazionale.
Distretti come quello pontino del farmaco tra Latina, Frosinone e Anagni sono già centrali nella procedura di infialamento di diversi antidoti, tra cui quello AstraZeneca, mentre recentemente ha tenuto banco la voce dell’accordo tra la svizzera Adienne e il Russian Direct Investment Fund per produrre a Caponago, presso Monza, il vaccino russo Sputnik e si discute molto del valore strategico dell’impianto Gsk di Rosia, presso Siena.
All’Italia serve compiere scelte chiare in termini di politica industriale, cogliere l’obiettivo di utilizzare la partita del vaccino anti-Covid per posizionarsi nel migliore dei modi, col massimo grado di proiezione e sicurezza, nella nuova catena del valore della farmaceutica globale e garantirsi l’assicurazione sulla vita della certezza delle forniture vaccinali. Se sul fronte dell’infialamento diretto e conto terzi il nostro Paese viaggia a ritmi notevoli, ben più complessa è la partita della strutturazione di una catena del valore completa che, ricorda The Italian Times, mobilita economie di scala rilevanti: “Il lato debole è il numero esiguo di bioreattori per produrre il principio attivo del vaccino” disponibili nell’industria nazionale, e che nonostante le politiche di riconversione che il governo sta incentivando non sono incrementabili in tempi rapidissimi, dato che “serve lo standard e l’approvazione prima dell’Ema e poi dell’Aifa. E i tempi non sarebbero brevi”.
Il futuro dei vaccini ad mRna
Di fronte allo sforzo della riconversione e dei progetti industriali in atto, dei tempi tecnici necessari (minimo sei mesi per i primi nuovi bioreattori necessari ai vaccini italiani) da più parti si è levato l’appello ad approfondire ulteriormente la complessità della strategia sin qui portata avanti e di spingere l’industria nazionale fino all’acquisizione di una capacità produttiva in grado di espandersi ai vaccini ad mRna come quello Pfizer-Biontech. Il vaccino a mRna è stato indicato dal Technology Review del Mit di Boston come una delle dieci grandi innovazioni scientifiche della nostra era e utilizza un’innovativa funzione di trasmissione del segnale attraverso filamenti di Rna che, appunto, simulano l’incontro tra le cellule del sistema immunitario e i virus.
Sputnik e AstraZeneca sono tradizionali vaccini ad adenovirus e secondo quanto dichiarato a Formiche da Guido Rasi, già direttore esecutivo dell’Ema, “è stato superato dalla tecnologia a mRna. Così innovativa da aver preso in contropiede anche aziende che erano leader nei vaccini e invece arriveranno molto dopo Pfizer e Moderna (due “debuttanti”) nella distribuzione delle loro fiale anti-Covid”. Rasi sostiene che una strategia industriale nazionale dovrebbe basarsi sulla considerazione che, dati gli orizzonti temporali prolungati prima di veder avviata una produzione in massa a pieno regime (da lui stimati in 12-14 mesi) e i costi (20 milioni di euro circa a impianto), Roma dovrebbe ipotizzare una strategia leapfrog, passando direttamente alla tecnologia più innovativa.
I problemi del sistema industriale
In questo contesto “varrebbe la pena anche per piccole e medie realtà industriali, per consorzi, entrare in un mercato, fare esperienza e portare avanti un’azione commerciale che avrebbe frutti per anni a venire”. Si nota dunque come non sia tanto il brevetto dei vaccini in sé, quanto piuttosto la capacità tecnologica di un sistema industriale il vero ostacolo da superare per permettere l’avvio di una produzione in serie di vaccini.
Un vaccino a mRna ha una catena del valore diversa da quelli tradizionali, che si fondano tendenzialmente su due step (la produzione del principio attivo, il bulk, e l’infialamento): quello Pfizer-Biontech, ad esempio, vede due processi di estrazione dell’mRna in due stabilimenti distinti (in Missouri e Michigan negli Usa) prima dell’infialamento e, dai bioreattori specifici alle fiale il suo sviluppo necessita di tecnologie specifiche che hanno solo poche aziende presenti in Italia, tra cui la Thermo Fisher Scientific nel suo impianto di Ferentino, presso Frosinone, e la Gsk nello stabilimento di Rosia, che però è già impegnato nella produzione di un vaccino batterico contro la meningite.
Il Paese si trova dunque a un bivio: valorizzare sul lungo periodo le potenzialità industriali, come propone Rasi, o seguire l’emergenza e puntare su un inserimento nella partita in corso? La strategia ottimale è quella di un giusto bilanciamento che, come pragmaticamente indicato da Mario Draghi, porti l’Italia ad avere il maggior numero di dosi possibili nel minor tempo (e questo è un elemento a favore della produzione di Sputnik o AstraZeneca) ma anche a sviluppare il capitale tecnologico in vista di una possibile trasformazione del Covid in fenomeno stagionale e pronto a riproporsi, con conseguente necessità di campagne vaccinali annuali, e dei futuri sviluppi dell’industria farmaceutica nel corso del XXI secolo. Parliamo di partite strategiche in cui, oggigiorno, l’Italia è indietro: ma con un giusto mix di politiche si può dare nuova linfa a un apparato produttivo che, sul fronte dei vaccini, fino agli Anni Novanta faceva invidia al mondo.