In vista del debutto dei finanziamenti e dei prestiti del Recovery Fund a Bruxelles, secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, sono già al lavoro da diverse settimane dei gruppi di tecnici pronti a indicare delle linee guida comuni per i 27 Paesi europei e dei modelli dettagliati su cui far convergere le proposte di finanziamento per i progetti portati all’attenzione dell’Ue da parte degli esecutivi nazionali. I templates dovranno contenere la strutturazione dei progetti e i loro obiettivi concreti, e saranno messi a disposizione da parte della Commissione europea al fine di standardizzare le procedure di richiesta alla task force guidata dalla boiarda francese Celine Gauer, che dovrà vidimare e dare una lettura generale della fattibilità dei piani.

Ursula von der Leyen e la sua Commissione si giocano tutta la loro futura credibilità politica sul successo di un piano che l’Unione ha voluto, in ogni modo, centralizzare. Tra poteri di scrutinio elevati, condizionalità richieste ai Paesi che presenteranno proposte e spazi di investimento ben precisi (come la transizione energetica, il digitale, la sanità) i paletti di intervento sono ben precisi. Ben lo sapevano Giuseppe Conte e Luigi Di Maio quando, senza cognizione di causa, hanno immaginato, furbescamente, di sfruttare il Recovery Fund per tagliare Iva e Irap. Il ministro degli Esteri pentastellato ha recentemente rincarato la dose al Forum Ambrosetti, definendo il piano europeo più corposo del Piano Marshall. Guardando al contesto in via di evoluzione, si può rubricare ad esagerazione l’uscita di Di Maio.

Il Recovery Fund, in primo luogo, differisce dal Piano Marshall perchè basato su un complesso sistema di prestiti e aiuti a fondo perduto, e non solo su questi ultimi; inoltre, i governi come visto non avranno spazi di intervento liberi ma dovranno seguire le direttive Ue e prepararsi a forti condizionalità in termini di riforme (per l’Italia potrebbero essere richiesti interventi sul fronte degli appalti e della giustizia civile) in un contesto che, come riportato, vedrà le proposte elaborate su un modello comune fornito dall’Unione.

In una recente relazione, la Corte dei Conti europea ha proposto il teorema “niente riforme, niente soldi” ricordando come Paesi come l’Italia seguano mediamente solo in un caso su quattro le prescrizioni comunitarie: “la Commissione dovrebbe rafforzare il collegamento fra fondi Ue a sostegno dei processi di riforma negli Stati membri e le raccomandazioni specifiche per Paese”, vincolando gli Stati a un percorso di riforma ben cadenzato nei tempi e negli sviluppi. Roma deve prepararsi a questo se, come annunciato da Conte, intende sfruttare il 10% di prefinanziamento del Recovery Fund (20 miliardi di euro) presentando i suoi piani già con la legge di bilancio il prossimo 15 ottobre.

Secondo quanto ha dichiarato a Formiche il viceministro dell’Economia Laura Castelli (M5S) “il Recovery Plan, che amo chiamare il nostro Piano industriale, ci consentirà ancora di più rispetto al tanto già programmato in questi anni, di mettere in campo importanti progetti che favoriranno la creazione di nuove opportunità di lavoro, legate soprattutto al digitale, alla filiera dell’energia e a quello della mobilità sostenibile”. La Castelli interpreta un sentore diffuso nella maggioranza giallorossa: l’idea che i fondi europei siano la panacea necessaria a deresponsabilizzare la politica dal dover scegliere tra i progetti di sviluppo del Paese. Come visto, invece, una seria politica economica e industriale sarebbe ora più che mai vitale: il rischio, altrimenti, è lasciar assorbire ogni delega alla burocrazia europea, che fornirà dall’alto le linee guida procedurali e, in assenza di una chiara volontà politica nazionale nel dare priorità ai piani di sviluppo, avrà potere di condizionamento sulla destinazione dei fondi ai vari progetti. Svuotando la sovranità economica nazionale per l’ennesima volta.

Al contempo, sono da ritenere decisamente indicative le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della seconda giornata del Forum Ambrosetti a Cernobbio. Mattarella ha esortato a “non fare della Ue mera istanza di trasferimento dei fondi. I cittadini vivono con ansia e incertezza questo momento. Il processo di approvazione del Recovery fund deve proseguire con la più grande rapidità per rendere le risorse disponibili già all’inizio del 2021, e velocemente piani nazionali di rilancio. Si tratta di una possibilità unica e forse irripetibile di interventi per assicurare prosperità”. L’Unione Europea rischia di smentirlo in partenza rilanciando le pulsioni iper-burocratiche e le logiche del controllo verticistico della Commissione che più volte hanno reso problematici i processi decisionali nel Vecchio Continente. Dall’austerità dello scorso decennio ai tentativi di censura della Commissione Juncker sulla manovra gialloverde del 2018più volte l’Italia ha pagato duramente l’eccessivo protagonismo delle autorità di Bruxelles. Un’utile indicazione sui rischi che la navigazione verso il Recovery Fund può comportare.