Da anni la Cina ha incrementato le attività volte ad accaparrarsi adeguate riserve strategiche per garantirsi l’approvvigionamento di energia e risorse minerarie chiave. Lo scorso gennaio, il ministro delle Risorse Naturali del Paese, Wang Guanghua, spiegava che Pechino avrebbe presto avviato “un ciclo di operazioni di prospezione interna”, concentrandosi su quei “minerali sfusi strategici che scarseggiano”.

Allo stesso tempo, il Dragone ha anche concretizzato una serie di ricerche oltre confine per conseguire l’obiettivo delineato. Un paio di mesi fa, ad esempio, il governo cinese ha inviato la Dayang Hao, una delle sue navi da spedizione più avanzate, per setacciare le acque profonde di una porzione marittima dell’Oceano Pacifico incastonata tra le Hawaii e il Giappone.

Qui, la Cina ha i diritti esclusivi per esplorare l’intera area alla ricerca di rocce grumose grandi quanto una pallina da golf che valgono trilioni di dollari. Questi noduli polimetallici contengono manganese, cobalto, nichel e rame, ovvero metalli necessari per realizzare una serie di prodotti che vanno dalle auto elettriche ai moderni sistemi d’arma.

La regina delle profondità marine

Come ha spiegato il Washington Post, la Cina detiene già cinque delle 30 licenze di esplorazione che l’International Seabed Authority (ISA) ha concesso finora – la quantità più elevata di qualsiasi altro Paese – in preparazione dell’inizio dell’estrazione mineraria in acque profonde che prenderà il via nel 2025 .

Pechino ha diritti esclusivi per passare in rassegna 92.000 miglia quadrate di fondale marino internazionale – circa le dimensioni del Regno Unito – e cioè il 17% dell’area totale attualmente autorizzata dall’ISA.

Dalle prime rilevazioni, pare che il mare contenga molti più metalli rari di quanti non se ne possano trovare sulla terraferma. Metalli rari, si badi bene, la cui domanda è destinata ad aumentare sempre di più, dato che sono fondamentali per la realizzazione di una vasta gamma di attività e prodotti, comprese le tecnologie green.

Dunque, se il fondale oceanico si preannuncia come il prossimo teatro mondiale della competizione globale per le risorse, il Dragone sembrerebbe essere destinato a dominarlo. Per la cronaca, i 30 contratti di esplorazione dell’ISA coprono 540miglia quadrate ma sono concentrati in una distesa del Pacifico chiamata Clarion-Clipperton Zone. Ebbene, questo spazio contiene fino a sei volte la quantità di cobalto e tre volte quella di nichel di tutte le riserve terrestri.

Il vantaggio della Cina

Quando inizierà l’estrazione mineraria in acque profonde, la Cina – che già controlla il 95% della fornitura mondiale di metalli delle terre rare e produce tre quarti di tutte le batterie agli ioni di litio – estenderà insomma il suo controllo sui settori emergenti come l’energia pulita.

A dimostrazione di come queste risorse potrebbero essere utilizzate come armi nel braccio di ferro con gli Usa, lo scorso agosto Pechino ha iniziato a limitare le esportazioni di due metalli fondamentali per i sistemi di difesa statunitensi. “Se la Cina riesce ad assumere un ruolo guida nell’estrazione dei fondali marini, avrà davvero l’accesso a tutti i minerali chiave per l’economia verde del 21esimo secolo”, ha affermato Carla Freeman, esperta senior per la Cina presso United States Institute of Peace.

Dulcis in fundo, è importante sottolineare come la Cina abbia concentrato i propri sforzi sull’ISA, con sede a Kingston, in un edificio in pietra calcarea che si affaccia sul Mar dei Caraibi. Esercitando la propria influenza in un’organizzazione in cui è di gran lunga l’attore più potente – gli Stati Uniti non sono membri dell’ISA – il Dragone ha quindi la possibilità di plasmare le regole internazionali della contesa a proprio vantaggio.

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