Tutti i riflettori sono puntati su Taiwan, dove si sta consumando una crisi globale senza precedenti tra Cina e Stati Uniti. Per quale motivo questa piccola isola è interessa così tanto al presidente cinese Xi Jinping?

Prima di tutto esiste un nodo storico da sciogliere, con i retaggi della sanguinosa guerra civile cinese – che, dal 1927 al 1950, vide contrapporsi i comunisti guidati dal futuro leader della Repubblica Popolare Cinese, Mao Zedong, e i nazionalisti di Chiang Kai Shek – ancora visibili, tanto a Pechino quanto a Taipei.

Dobbiamo poi analizzare la questione dal punto di vista geopolitico, visto che Taiwan è un baluardo statunitense a circa 160 chilometri dalle coste cinesi, nonché un partner di Washington schierato in prima fila contro la “minaccia rossa”, con il compito di arginare l’ascesa della Cina nell’Indo-Pacifico.

C’è poi da prendere in esame il lato economico, considerando che l’isola si estende in un’area altamente strategica, sia per il controllo delle rotte marittime, che per il dominio sul Mar Cinese Meridionale e le zone limitrofe. Non solo: nella grande partita dei semiconduttori Taiwan veste i panni della protagonista assoluta, producendo da sola, a seconda delle stime, dal 60 al 70% dei chip a livello internazionale. Si dà il caso che i semiconduttori siano alla base del funzionamento dell’elettronica moderna, e che senza questi piccoli prodotti non sarebbe più possibile costruire computer, smartphone, automibili e tantissimi altri beni di consumo (e non solo). Mettere le mani su Taiwan, dunque, significa anche controllare uno dei settori strategici più importanti ai fini dell’economia mondiale.



Pil, know how, aziende

Un’ipotetica presa di Taiwan darebbe a Pechino il controllo totale sul suo quinto partner commerciale. Il governo cinese otterrebbe anche l’accesso all’industria hig-tech taiwanese, che comprende anche le citate fabbriche di chip, aggiungendo così nuova linfa alla sua base industriale.

Il pil di Taipei, pari a 600miliardi di dollari, cadrebbe sotto il controllo del Dragone. Secondo GlobalData, Taiwan è la 21esima economia più grande del mondo, con un pil di 662,1miliardi di dollari, cresciuto del 44% tra il 2010 e il 2021, e in procinto di aumentare ancora, precisamente del 19% entro il 2025. Attenzione però, perché l’eventuale assorbimento cinese dei benefici economici di Taiwan dipende da come la Cina conquisterà eventualmente l’isola. Una riconciliazione pacifica, voluta da entrambi, inciderà poco o niente sulle dinamiche economiche mentre, al contrario, una conquista figlia di un conflitto militare rischia di azzerare ogni scambio e fare piazza pulita di aziende e settori strategici.

I numeri ci dicono anche che Taiwan non è vitale per l’economia americana. Semiconduttori a parte, Taipei è il decimo partner commerciale Usa, con 85miliardi di dollari, una cifra irrisoria se paragonata ai 635miliardi di dollari della Cina e pure ai 500miliardi di Canada e Messico. Disaccoppiare le economie di Cina e Stati Uniti, ovvero le due più grandi economie del pianeta, sarebbe una mossa a dir poco autodistruttiva.



Risorse naturali

A completamento della panoramica generale, elenchiamo un altro aspetto troppo spesso trascurato. Se la Cina dovesse ottenere il controllo di quella che chiama “provincia ribelle”, potrebbe tecnicamente esercitare un’influenza pressoché indisturbata in una discreta porzione del Mar Cinese Meridionale. Si dà il caso che i fondali di queste acque, il cui controllo è conteso e al centro di rivendicazioni incrociate tra i Paesi che affollano la regione, siano ricche di risorse naturali preziose, tra risorse ittiche e, soprattutto, idrocarburi.

Nessuno, quindi, intende concedere agli altri un solo miglio marittimo. Anche perché, secondo alcune stime, il Mar Cinese Meridionale ospiterebbe qualcosa come circa 10miliardi di barili di petrolio e 25mila miliardi di metri cubi di gas. Tenendo conto degli scossoni che il mercato energetico ha dovuto subire a causa della guerra in Ucraina, e che la Cina è una potenza energivora, a Pechino farebbe comodo poter contare su nuove entrate assicurate. Certo, il Dragone potrebbe comunque avventurarsi nelle profondità del Mar Cinese Meridionale, ma eliminando il problema Taiwan le operazioni diventerebbero ancora più semplici.

 

La centralità di Taiwan

Bisogna, infine, fare un paio di considerazioni strategiche. Taiwan è la più grande massa di terra situata tra il Giappone e le Filippine. Fa parte di quella catena di isole che gli strateghi statunitensi hanno identificato come cruciale per contenere la crescente potenza militare della Cina. Anche il governo cinese attribuisce grande importanza strategica a questa “prima catena di isole“, in particolare a Taiwan. Questa catena si estende dalla Kamchatka al Borneo, ed è un vero ostacolo strategico per la Marina cinese.

In ogni caso, come ha evidenziato The Diplomat, la centralità di Taiwan nel calcolo della potenza del Pacifico deriva da diversi fattori. È, come detto, di gran lunga l’isola più grande dell’arcipelago dislocato tra il Giappone e il sud-est asiatico. Okinawa, la seconda più isola più estesa, è larga in media solo sette miglia e, sebbene ospiti metà delle forze militari statunitensi di stanza sul suolo giapponese, le sue basi potrebbero essere facilmente disabilitate dalla Cina all’inizio di una guerra. Taiwan, con 30 volte la superficie terrestre di Okinawa, offre più spazio per l’occultamento e la manovra.

Se la Cina dovesse ottenere il controllo di Taiwan, la sua capacità di operare a est della prima catena di isole sarebbe assicurata. A quel punto la Marina cinese potrebbe avventurarsi nel Pacifico, mentre la capacità delle forze statunitensi e dei loro alleati di controllare le altre isole della regione sarebbe gravemente compromessa. Con la caduta di Taiwan, l’equilibrio strategico nel Pacifico occidentale verrebbe irrimediabilmente modificato.





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