Colpita duramente ai fianchi e messa a dura prova, la Cina ha affrontato con tenacia e a testa alta, dopo i primi tentennamenti iniziali, l’espansione dell’epidemia di coronavirus, partita da Wuhan, uno dei centri nevralgici per l’economia dell’Impero di Mezzo. Con buona pace dell’ironia del Wall Street Journal sul “malato d’Asia”, infatti, Pechino ha abbassato il livello d’allerta in sei province (Gansu, Liaoning, Guizhou, Yunnan, Shanxi e Guangdong), messo in campo uno stimolo economico da 131 miliardi di dollari attraverso la banca centrale e iniziato ad assistere alla ripresa delle attività produttive, chiave di volta per l’inizio della guarigione della prima potenza industriale del mondo.
Per Pechino il 2020 sarà un anno “mutilato” dai tempi lunghi della ripresa, dallo shock subito, dall’azzeramento del potenziale produttivo di Wuhan e dalla perdita di due mesi di scambi internazionali gestiti a pieno ritmo. “Le proiezioni”, scrive Asia News, “danno la crescita cinese in rallentamento al 3,5-4% nel primo trimestre dell’anno – nel 2019 è stata del 6%. Il ministero del Commercio di Pechino prevede il picco del calo a marzo. L’economia dovrebbe risalire nella seconda metà dell’anno, una stima condivisa anche dall’Fmi”, anche a causa delle notizie positive portate dal ritorno delle grandi aziende straniere sul suolo cinese. Dalla connessione di Pechino ai network commerciali globali, infatti, dipendono le prospettive di rilancio del Paese.
L’industria dell’auto, colpita a gennaio con un crollo del 92% delle immatricolazioni in Cina, ha guidato la ripresa delle attività: Volkswagen ha deciso nella giornata del 25 febbraio di riaprire la maggior parte degli stabilimenti produttivi e tutti i siti di componenti in Cina, seguendo le concorrenti General Motors, Fca e Toyota. La filiera globale dell’auto e le catene logistiche del settore hanno nella Cina una base troppo importante per potersi fermare per tempi prolungati. Al primo accenno di disponibilità, il settore è tornato in attività e punta ad arrivare presto a pieno regime, spingendo governo cinese ed attori economici ad aver maggior fiducia.
Il “Quotidiano del Popolo”, organo ufficiale della Repubblica Popolare, parla con grande enfasi degli sforzi di Pechino per rilanciare la produzione e delle iniezioni di fiducia del mercato, sottolineando ad esempio come oltre il 91% delle 300 maggiori imprese straniere operanti nell’hub manifatturiero di Dongguan siano tornate all’opera. E ringraziando pubblicamente anche le imprese del grande rivale, gli Stati Uniti, per non essersi allontanate a lungo dal Paese: Honeywell sta riportando i lavoratori all’opera, mentre Pechino è pronta ad aiutare il gruppo alimentare Cargill a supplire a un vuoto di organico emerso nelle ultime settimane. Dal mondo imprenditoriale nazionale si è invece levata la voce dell’ad di Lenovo, Yang Yuanqing, sulla tenuta delle catene logistiche cinesi.
Per la Cina è sicuramente troppo presto per cantare vittoria. Certamente però il Paese è riuscito, in campo economico, a fare sistema e a non farsi travolgere a livello aggregato dal panico suscitato dal coronavirus. L’apertura graduale di alcune province prima messe sotto chiave a livelli maggiori di libertà e azione economica è un messaggio di grande importanza: Xi Jinping e i suoi devono necessariamente conciliare il fronte sanitario e quello produttivo per dare un messaggio di stabilità al Paese e all’opinione pubblica. Nella consapevolezza che la partita chiave è quella della salute: il trend positivo si confermerà solo se continuerà la fase di decrescita graduale dei nuovi contagi nei territori dell’Impero di Mezzo in corso da alcuni giorni.