Mentre nella giornata di lunedì 2 marzo in Occidente segnava l’inizio di un nuovo, duro tour de force per i mercati finanziari, in Oriente la chiusura delle contrattazioni portava con sé uno scenario più stabile e un clima rasserenato. In Europa le borse, che hanno perso oltre il 10% nella scorsa settimana, ristagnano, con Piazza Affari a terra, negli Stati Uniti Wall Street, reduce dalla peggiore settimana dai tempi della Grande Crisi del 2008, si muove claudicante e in Asia, invece, i principali listini hanno chiuso con rialzi significativi. Soprattutto in Cina, Paese epicentro del coronavirus ma altamente deciso a non lasciarsi travolgere dal contagio.
Nonostante l’annuncio dei dati sull’indice della produzione manifatturiera per febbraio, ai minimi storici, la Cina ha visto i mercati conoscere un rimbalzo significativo: la borsa di Shanghai ha guadagnato il 3,15%; Shenzen, capitale dell’industria tecnologica, quasi il 3,8%; Hong Kong, la piazza più esposta alle contrattazioni monetarie con l’Occidente, ha chiuso con un +0,75%.
A cascata questo ha prodotto effetti positivi in tutta l’Asia: l’indice Nikkei di Tokyo ha fatto segnare un +0,95% e il Kospi di Seul lo 0,78% nonostante le notizie degli aumenti dei contagi in Corea del Sud e le notizie ancora incerte sul futuro delle catene logistiche e commerciali globali, che mettono a repentaglio i porti di Busan e Incheon. Come è accaduto tutto ciò? La risposta è da ricercarsi nell’inversione della tendenza della malattia in Cina, nelle prime notizie positive sulla riapertura di fabbriche e impianti e, soprattutto, nella decisa reazione del governo centrale.
I mercati hanno dato fiducia al fatto che lo stimolo monetario iniziato con l’iniezione da 150 miliardi di yuan (quasi 20 miliardi di euro) impostata dal governo di Xi Jinping il 3 febbraio scorso possa avere effetto. Sicuramente nel breve periodo l’effetto è stato quello di un proseguimento del “quantitative easing globale” che anche in Cina ha avuto luogo per le politiche accomodanti della banca centrale. Al 24 febbraio, sottolinea Business Insider, la Banca centrale cinese aveva “iniettato nel sistema oltre cinque trilioni di yuan, circa 750 miliardi di dollari, il massimo assoluto a livello di stimolo monetario aggregato”.
Sia ben chiaro: non parliamo di una sana politica economica, specie in un contesto che vede la Cina conoscere grandi disuguaglianze interne in termini di distribuzione del credito, degli investimenti e dei debiti privati, ma di una politica di argine al contagio economico basata esclusivamente sulla forza d’urto della massa di denaro immessa nel sistema. Che si ritiene necessaria per aumentare la liquidità delle borse, non frenare il circolo del credito e far piovere gli stimoli sull’economia reale. In modo tale da evitare alla Cina la prima recessione dai tempi della Rivoluzione culturale.
Per fare un raffronto, il piano Paulson messo in campo dall’amministrazione Bush nel 2008 nell’ora più buia della crisi mondiale movimentò risorse per 700 miliardi di dollari: in un solo mese la Cina, lontana dai riflettori, è riuscita ad andare oltre. Il tutto per stabilizzare le borse e dare loro un ritmo inverso rispetto ai dati che sembrano provenire dagli indici manifatturieri, dalla produzione, dal commercio.
Funzionerà? Bisognerà attendere le prossime settimane. La Cina ha costruito la sua potenza economica come piattaforma commerciale e industriale, e dalla ripresa dei traffici e della manifattura dipenderà il risultato economico dell’anno in corso. Al contempo, è bene ricordare che la risposta odierna darà al mercato finanziario mondiale maggiori problemi in tema di dipendenza dal credito facile e dal denaro a basso costo delle banche centrali, come del resto hanno già lasciato intendere i listini europei e nordamericani con il repentino sgonfiamento. Distinguere la risposta all’emergenza dal consolidamento sarà la sfida chiave: deve capirlo la Cina così come gli altri grandi dell’economia mondiale. Negare, però, che la congiuntura attuale richieda risposte decise, come fatto dalla Bce di Christine Lagarde, equivale a un atteggiamento irresponsabile. Che listini ed economia potrebbero pagare sanguinosamente nelle prossime settimane.