Leonardo ha annunciato lo stop allo sbarco in borsa tramite Ipo (Initial public offering) della controllata statunitense Drs, che prevedeva il collocamento di una quota di minoranza, compreso tra il 22 e il 25,3% del capitale sociale del gruppo con sede a Parsipanny, New Jersey. Leonardo in un comunicato ha sottolineato che le “avverse condizioni di mercato” hanno imposto un ridimensionamento delle aspettative della società sulla quotazione di Drs e senz’altro le evoluzioni dell’indice tecnologico Nasdaq e dei titoli della Difesa, entrati in stallo e in una fase ribassista dopo mesi di rally intensi, hanno giocato un ruolo nella decisione. Ma da tempo, come abbiamo avuto già modo di sottolineare, l’operazione aveva creato insoliti e sospetti movimenti attorno all’ex Finmeccanica.

Leonardo non gradita al Pentagono? Difficile

Recentemente, ad esempio, Dagospia ha sottolineato che dietro lo stop di Leonardo, che ha provocato un brusco calo del gruppo in borsa nella giornata del 25 marzo, ci possa essere la mano degli apparati securitari del Pentagono, che non vorrebbero “soci in Drs, essendo un’azienda specializzata nella tecnologia per la difesa e l’intelligence”. La controllata statunitense di Leonardo, acquisita nel 2008 dall’allora Finmeccanica, è un importante contractor della Difesa a stelle e strisce ed opera nella realizzazione di prodotti militari ad alta intensità tecnologica. StartMag cita tra i settori di competenza “il rilevamento, la guerra elettronica, la cyber security, il network computing, le comunicazioni, la protezione, la conversione e la propulsione ad energia elettrica” e partendo dall’ampiezza dei lavori di Drs rubrica come eccessive le voci sull’ostilità del Pentagono con una società di cui, ai tempi dell’acquisizione da parte di Finmeccanica, aveva già approvato il de-listing da Wall Street. In una fase di elevata esposizione “politica” dei capitalismi nazionali, anche all’interno del blocco occidentale, davvero l’apparato militar-industriale più sviluppato dal pianeta non avrebbe avuto, nel caso, gli strumenti per far esplicitamente recedere Leonardo.

E poi, cosa più importante, “davvero un’operazione come quella che era stata architettata dal vertice di Leonardo non era stata prima sottoposta al vaglio e all’ok del Pentagono?”. La domanda è più che legittima, ma le accuse di possibili ambiguità di Leonardo riguardo all’atteggiamento col Pentagono, estremamente difficili da provare e giustificare, vanno di pari passo con la somma di manovre sospette e di interessi mediatici verso l’ex Finmeccanica accumulatasi in questi mesi oltre Atlantico.

Abbiamo recentemente reso conto delle accuse rivolte a Leonardo su presunti legami sospetti con Cina e Russia da parte dell’Epoch Times, quotidiano liberalconservatore vicino alla componente movimentista del trumpismo e all’opposizione cinese, e degli attacchi rivolti al gruppo da parte del professor Edward Luttwak, analista geopolitico di fama internazionale e attento conoscitore dell’Italia, che su iniziativa dell’uscente amministrazione Trump a dicembre è stato nominato nel Defense Policy Board del Pentagono. La filigrana delle critiche è sempre la stessa, in sostanza: Leonardo sarebbe un’azienda poco affidabile per la catena atlantica della Difesa, le sue attività potenzialmente sospette per la sicurezza nazionale Usa.

Temi, questi, che mal si conciliano con un orientamento esplicito del gruppo di Piazzale Montegrappa che proprio sull’asse euro-atlantico ha costruito buona parte delle sue strategie industriali negli ultimi anni, con l’ad Alessandro Profumo che ha guidato l’inserimento di Leonardo nel programma del caccia a guida britannica Tempest e prevede un futuro coinvolgimento nelle strategie industriali garantite dal programma spaziale Artemis a cui Roma ha aderito.

Un attacco a Profumo?

Il fatto che nei mesi scorsi il New York Post, un altro dei quotidiani che appartengono alla galassia liberalconservatrice vicina a Trump, abbia attaccato esplicitamente Profumo, sottolineando che la sua condanna penale per il caso Mps possa contribuire a danneggiare la reputazione di Leonardo oltre Atlantico e l’operazione Drs aggiunge ulteriori elementi e permette di unire i puntini. E far pensare che il vero bersaglio di certe accuse, prima ancora di Leonardo, possa essere la stessa figura di Profumo. Un cui disarcionamento farebbe cadere la carica di ad di Leonardo nell’ampia e complessa partita delle nomine che dopo la primavera si aprirà nella galassia di partecipate pubbliche dello Stato italiano.

Una fonte romana altamente qualificata sentita da Inside Over e che conosce strettamente le dinamiche interne alle partecipate conferma che è la poltrona di Profumo la vera posta in palio: “l’attacco a Leonardo è in primo luogo funzionale a un cambiamento ai vertici della società” – spiega – che potrebbe inserirsi nel risiko prossimo ad aprirsi quando il governo Draghi si interesserà del dossier, al momento non prioritario per Palazzo Chigi, delle nomine. Chi avrebbe interesse a una caduta di Profumo? In primo luogo Fabrizio Palermo, attualmente ad di Cassa Depositi e Prestiti che è tra le figure la cui riconferma appare più in bilico. E il giornalista Carlo Festa del Sole 24 Ore, nel dicembre scorso, indicava proprio Palermo, assieme a Domenico Arcuri, tra i papabili sostituti di Profumo in seguito a una sua possibile uscita dalla società. Nel campo politico, fu in particolar modo Alessandro Di Battista del Movimento Cinque Stelle a cannoneggiare Profumo dopo la condanna sul caso Mps.

Ma i dati economici del gruppo Leonardo, gli sviluppi finanziari e gli scenari operativi lasciano presagire che la condanna penale di Profumo per il caso Mps non ha impattato negativamente sulle prospettive di Leonardo sul medio-lungo periodo e questo, spiega la nostra fonte, è un elemento a favore del manager del gruppo la cui caduta, spiega, potrebbe essere decisa “solo ed esclusivamente dal consiglio di amministrazione”. La condanna di Profumo per il caso Mps è, va sottolineato, di primo grado, suscettibile di revisione in sede di appello, dunque non definitiva e passata in giudicato; riguarda attività di una persona che, comunque si concluda il processo, al momento dei fatti in questione non aveva legami con la società (dunque non ha senso chiamare alla sbarra il gruppo della Difesa) e si inserisce in una serie di ambigui interessamenti da parte di una procura, quella di Milano, per l’impresa pubblica e il suo top management.

I torbidi americani e quelli italiani paiono dunque sommarsi e notiamo come il dibattito aperto dalla mancata quotazione di Drs sveli scenari più complessi e più profondi, che dovrebbero invitare la politica e i vertici decisionali del sistema-Paese a preoccuparsi di mantenere intatta la stabilità operativa e finanziaria di Leonardo e a ridurre il peso di questi scossoni per il suo business, fondamentale per la proiezione del Paese nello strategico settore della Difesa. Tra Roma e Washington, infatti, attenzioni indiscrete possono cagionare danni alla corretta governance del gruppo di Piazzale Montegrappa, che ora più che mai ha bisogno di stabilità e di dare proiezione alle sue attività.

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