Fino al giorno d’oggi e grazie alle regolamentazioni europee che permettono di poter operare all’interno del mercato unico grazie alla registrazione societaria anche in un singolo Paese membro, molte società hanno tratto enormi profitti dalla cosiddetta elusione fiscale. In modo particolare, grazie alla possibilità di agire usando come “base” di appoggio uno Stato con una bassa pressione fiscale (quali, a titolo d’esempio, i Paesi Bassi, l’Estonia e il Lussemburgo) ed eludendo le più alte imposte dei Paesi che costituiscono invece il vero e proprio mercato aziendale.
Questo fenomeno (che ha contraddistinto soprattutto i colossi del Big Tech, ma ha interessato anche le società finanziarie e un buon numero di aziende “tradizionali”) potrebbe però cambiare nei prossimi anni, con l’Unione europea che, dopo lunghe discussioni, sembra intenzionata a prendere una netta posizione nei confronti dei “furbetti delle tasse”. Come riportato dalla testata tedesca Der Spiegel, nei prossimi anni infatti le società che fatturano oltre 750 milioni di euro annuali potrebbero essere obbligate, per operare all’interno del mercato unico, a rendere pubblici i propri bilanci e le proprie dichiarazioni fiscali non soltanto in ogni Paese dell’Unione ma anche nei paradisi fiscali. In uno scenario che, di conseguenza, potrebbe generare una serie di risvolti non di secondaria importanza e potrebbe impattare soprattutto sul modo in cui vengono divise le spettanze fiscali dei Paesi comunitari.
Tasse accessibili a tutti per evitare l’elusione, ma la Germania si astiene
Lo scopo principale di questa introduzione sarebbe da ricercarsi nella necessità di rendere meno oscure le rendicontazioni fiscali delle grandi società operanti sulla rete, le quali spesso ottengono guadagni in un mercato nazionale dichiarando però i propri utili in un Paese dalla pressione fiscale più ridotta. E in questo modo, grazie ai maggiori controlli che potrebbero essere effettuati, potrebbe divenire possibile in un secondo momento impostare anche un discorso di “ripartizione” delle spettanze, riequilibrando quelle situazioni che spesso hanno avvantaggiato Paesi come l’Olanda e il Lussemburgo nei confronti degli altri partner europei.
Tuttavia, non tutti all’interno dell’Unione sembrano essere d’accordo. Tra questi Paesi infatti, come riportato sempre dal Der Spiegel, ci sarebbe la Germania, con il ministro delle finanze Olaf Scholz che si è astenuto dalle considerazioni a riguardo in virtù del disaccordo sull’argomento da parte della maggioranza di governo. E come Berlino, anche i Paesi che negli anni hanno tratto vantaggio da questa situazione sembrano intenzionati a dare battaglia, rischiando di allungare i tempi di quello che dovrebbe essere un basilare accordo di convivenza economica tra i paesi membri dell’Ue.
Bilanci pubblici, equità economica o assist ai competitor?
Come osservato però dai portavoce del mondo industriale, la proposta europea porterebbe con sé anche dei notevoli svantaggi difficili da gestire. Primo tra tutti quello relativo alla possibilità che società estere terze potrebbero trarre vantaggi dallo studio dei bilanci in questione, mettendo le aziende europee in chiara difficoltà competitiva nei loro confronti. Ma non solo: rendere pubblici i propri costi ed i propri profitti renderebbe di pubblico dominio anche i propri piani industriali e le competenze acquisite da anni di esperienza sul mercato.
Tuttavia, è chiaro che il sistema fiscale europeo nel modo in cui è attualmente gestito debba essere modificato, soprattutto a seguito del passaggio di una pandemia che ha ulteriormente allargato la forbice delle disparità sociali, come osservato dal politico italo-tedesco Fabio De Masi. In quest’ottica, dunque, sarà necessario trovare una sintesi essenziali per garantire l’equità di trattamento per le società europee e al tempo stesso garantire la segretezza dei piani industriali interni. E, in ultima battuta, per sperare di arrivare un giorno anche a quella che sarà una più equa distribuzione del pagamento delle imposte a livello comunitario.